La procura di Milano apre un'inchiesta sulle minacce a Silvia Romano: gli odiatori ne risponderanno

La giovane volontaria liberata dopo un anno e mezzo di prigionia oggetto di migliaia di commenti offensivi sui social network

Silvia Romano saluta i vicini dalla sua casa di Milano
Silvia Romano saluta i vicini dalla sua casa di Milano
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12 Maggio 2020 - 08.19


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Per gli insulti sui social e le frasi minacciose rivolte sui social a Silvia Romano, la giovane volontaria milanese liberata in Somalia dopo un anno e mezzo di prigionia e dopo essere stata rapita in Kenya nel novembre 2018, il responsabile dell’antiterrorismo milanese Albero Nobili ha aperto una indagine.
L’ipotesi, contro ignoti, è di minacce aggravate.
Negli ultimi giorni, infatti, dopo il rientro in Italia di Silvia Romano – tornata ieri nella sua casa di Milano dove dovrà trascorrere la quarantena obbligatoria – tantissimi sono stati i messaggi che sui social network l’hanno riguardata. Purtroppo, oltre a tanta solidarietà per quello che ha vissuto la ragazza in questi oltre 500 giorni e alla felicità per il suo ritorno a casa, gli haters si sono scatenati in Rete con messaggi violenti e sessisti, contestando la sua scelta di convertirsi all’Islam, le sue prime parole, persino il suo volto apparentemente sereno al rientro in Italia. E tanti i commenti che hanno anche messo in discussione il presunto pagamento di un riscatto per la sua liberazione.
Nel suo quartiere, il Casoretto, ieri era comparso anche un volantino incollato sulla vetrata posteriore di un’edicola, poco distante dall’abitazione della giovane cooperante. “Tanti di noi, stufi di dover pagare i riscatti, specie di questi tempi. Salvare una vita, meritevole, per metterne a rischio molte altre?”, c’era scritto sul foglio, staccato e gettato dall’ edicolante non appena se ne è accorto. Nel volantino si criticava il fatto di “subire le ingerenze politiche delle Ong che mettono a rischio i nostri pur lodevoli connazionali”, sostenendo la necessità di “far pagare alle Ong o chi per esse le loro superficialità”. “Buonismo, perbenismo e politicamente corretto – era la conclusione – non equivalgono a ‘solidarietà’. Tutt’altro”.

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