Silvia Romano è costata 4 milioni? Almeno non sono 49 (e lei non chiede pieni poteri)
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Silvia Romano è costata 4 milioni? Almeno non sono 49 (e lei non chiede pieni poteri)

in Italia l'unico che ci è costato 49 milioni di euro e ha pure avuto la pretesa di chiedere pieni poteri è stato Matteo Salvini. E francamente, tra baciare un rosario e leggere il Corano non c'è nessuna differenza. 

Silvia Romano
Silvia Romano
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

11 Maggio 2020 - 15.47


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Facendo questo mestiere da un po’ di tempo si impara a prevedere, a fiutare la prossima polemica. Cinque minuti dopo la liberazione di Silvia Romano, notizia che è stata la proverbiale boccata d’ossigeno dopo due mesi di Coronavirus, un grumo di sospetto si è insinuato dentro una contentezza sincera per questa ragazza e per la sua famiglia. E lì, sotto l’annuncio di Giuseppe Conte, attendeva il primo dei migliaia di commenti scritti dai tanti subumani che popolano questo paese: “E quanto ci è costata?”. 

Speravo francamente di essere smentito, ma gli italiani non deludono mai le aspettative: quando possono essere stronzi (non trovo altri termini), lo sono fino in fondo, con scienza e con gusto, dando briglia sciolta alle fantasie più perverse, a teorie che solo a scriverle sale la nausea. Fino, ovviamente, alla tracimazione di questo barile di letame: i titoli di Libero e del Giornale di questa mattina. Una ragazza tenuta prigioniera per 500 giorni diventa ‘un’ingrata’ perché si è convertita all’Islam in prigionia. Per questi signori, Silvia prima di tutto sarebbe dovuta morire, o quantomeno avere la buona creanza di farsi violentare da questi ‘bastardi islamici’ (per citare un altro storico Libero). Doveva atterrare avvolta nel tricolore e baciare la terra dove cammina. 

E invece: Silvia è tornata sorridente, e ha abbracciato la sua famiglia. Era vestita con un abito tradizionale color verde e ha detto che ha preso il nome Aisha. In prigionia, il suo conforto è stata la fede, e la fede è stata quella islamica. Lavaggio del cervello, sindrome di Stoccolma, finzione, coercizione: si è letto e detto di tutto in queste ore, e nessuno, nemmeno i più illuminati, paventano un’altra ipotesi, quella di una conversione spontanea. L’Islam, per la maggior parte degli italiani, è sinonimo di Isis, è una religione di morte. Dimenticati, in un angolo polveroso della nostra memoria storica, giacciono le atrocità commesse dai cristiani quando i fondamentalisti eravamo noi. L’ipocrita convinzione di essere dalla parte del ‘bene’, opposti ai cattivi con la scimitarra e la barba, è parte integrante del pensiero occidentale e cattolico. Silvia Romano è un cortocircuito, una fusione tra due identità che pensiamo come naturalmente opposte, dimenticando i profondi legami di parentela culturale che intercorrono tra cristianesimo, islam ed ebraismo, le tre grandi religioni monoteiste, intrecciate tra loro da millenni. Silvia è una sintesi storica, che esclude i fondamentalismi e abbraccia esclusivamente ciò che le religioni, tutte le religioni hanno in comune: il rispetto per la vita umana. 

Rispetto sconosciuto alla maggior parte dell’Italia bigotta e cattiva, che è seriamente disposta a chiedersi quanto valga invece una vita umana. Andate dal padre di Silvia a chiedergli ‘quanto ci è costata sua figlia’ e prendetevi il meritato cazzotto sul naso. In risposta alla vostra domanda: Silvia Romano è costata 4 milioni di euro. Molti meno di 49 (quella storia l’abbiamo dimenticata?), molti meno di quelli che Savoini stava trafficando in Russia (altra storia che abbiamo riposto sotto il tappeto). Forse più di quelli con cui finanziamo Libero e il Giornale, ma almeno speriamo che Silvia non comincerà a scrivere oscenità ogni mattina che Allah manda in Terra. Certo, potremmo anche scoprire che la prigionia ha trasformato Silvia Romano in una fanatica. Ma fino ad allora, in Italia l’unico che ci è costato 49 milioni di euro e ha pure avuto la pretesa di chiedere pieni poteri è stato Matteo Salvini. E francamente, tra baciare un rosario e leggere il Corano non riesco a trovare nessuna differenza. 

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