Single, studenti, disoccupati, non sposati: i grandi esclusi dalla falsa ripartenza

Il nuovo decreto fa distinzioni pesanti tra cittadini di serie A e di serie B: una suddivisione che esclude chi in Italia è single, non è sposato, non ha una famiglia, non ha figli

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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

27 Aprile 2020 - 09.47


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La delusione, inutile nasconderlo, è stata cocente. Nessuno di noi si aspettava che il 4 maggio si sarebbero aperte le porte delle prigioni e ci saremmo ripresi la primavera dandoci a danze scomposte. Abbiamo già messo nel conto che i prossimi mesi saranno difficili e strani, permeati dal senso di angoscia perenne di stare facendo qualcosa di proibito, di contagioso.

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Ma contavamo, tutti, di poter almeno rivedere chi ci è caro. E non parliamo della famiglia, cui questo Paese dà priorità in qualunque occasione. Parliamo dei grandi esclusi: single, studenti fuori sede, fidanzati separati, disoccupati. Cioè di chi non ha messo su famiglia, preferendo non sposarsi o non fare figli, di chi ha perso il lavoro o non lo ha ancora trovato, di chi si è trovato in una Regione diversa dalla propria e adesso non sa quando potrà tornare a casa, tanto che viene da pensare che – in fondo – aveva avuto ragione chi, la sera del 9 marzo, si era precipitato in stazione a Milano per fuggire verso il Sud. Si sarà anche preso la nomea di untore, ma almeno adesso ha una famiglia da andare a visitare.

Per più di un terzo degli italiani (dati Istat 2019), la quarantena è prolungata – se va tutto bene – di altre due settimane. Francamente, ci aspettavamo un po’ di più.

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Stando così le cose, sarebbe stato preferibile aprire esclusivamente le aziende e prolungare la quarantena per tutti: è chiaro che la priorità del Governo è riavviare l’economia, e la concessione alle famiglie di riunirsi (ma non di rimpatriarsi) appare più come un contentino per pochi che però fa arrabbiare tanti. Perché se razionalmente siamo in grado di comprendere la scelta di Conte e del Governo (ci sono ancora oltre 2.000 contagi al giorno), dopo 50 giorni la razionalità è appesa a un filo. E l’unica cosa che riusciamo a pensare è che, come per i runner e per i proprietari di cani, il nuovo decreto fa distinzioni pesanti tra cittadini di serie A e di serie B, tra scapoli e ammogliati per dirla all’antica. Una suddivisione di cui non si stanno considerando alcune serie ripercussioni su chi in Italia è single, non è sposato, non ha una famiglia, non ha figli, non ha un cane e non fa una vita sportiva, cui è stato detto, di fatto, ‘arrangiati’. Ma nel 2020, in Italia, queste categorie insieme fanno una percentuale considerevole.

Perché l’altro dato che emerge da questa falsa ripartenza è che – tristemente – il Governo non ha idea di cosa sia l’Italia, vivendo ancora in un immaginario mondo di famiglie Mulino Bianco che vivono felici infornando pizze e focaccine. La realtà, come tutti noi sappiamo, è ben diversa. E per chi con la famiglia è rinchiuso da quasi due mesi la concessione di ‘riunirsi con le famiglie’ appare come minimo una presa in giro.

Cosa volevamo allora? La situazione, purtroppo, è quella che è: il virus continua a girare, le persone stanno ancora morendo. E ci sono tanti, tanti problemi più gravi dei fidanzati che non possono riunirsi, per esempio. C’è chi ancora non può tornare a lavoro, c’è chi non sa a chi lasciare i figli, c’è chi in ospedale combatte in prima linea contro il virus da due mesi e che – giustamente – pensa che se dipendesse da lui ci chiuderebbe in casa un anno e butterebbe la chiave fino a quando non si trova una cura. Davanti all’enormità dell’emergenza, stringere i denti per altre tre settimane non sembra questo grande sforzo, e infatti non lo è.

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Ma al di là delle polemiche ‘emotive’, c’è un altro problema: di fatto, un decreto del genere denota non una strategia, quanto la sua mancanza. E lascia ancora troppo spazio alla libera interpretazione, sia dei cittadini (posso andare al parco dall’altro lato della città? Posso andare a trovare il cugino con cui non parlo da anni?), sia dei poliziotti, cui dobbiamo affidare il ruolo di giudice delle nostre uscite ‘essenziali’. Per un agente vedersi con un amico al parco vicino casa, evitando di assembrarsi, può essere consentito, per un altro no. Chi decide?

Questo passo incerto non esprime prudenza, quanto paura. Comprensibile, per carità. Ma in questo momento c’è bisogno di decisioni nette, anche se sbagliate. Sono preferibili a un’indecisione che rischia di fare ancora più danni.

Nel frattempo rimaniamo ancora a casa, la maggior parte di noi soli e sempre più arrabbiati. E, francamente, chi prende le decisioni questa frustrazione dovrebbe temerla come e quanto il Coronavirus.

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