L'ipocrita Fase 2: privilegia Lombardia e dio denaro e non tutela la salute

Ripartono le attività nella zona più contagiata ma neanche un accenno ai metodi per contrastare i virus casa per casa. Familiari sì, fidanzati no.

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Claudio Visani Modifica articolo

27 Aprile 2020 - 08.41


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Nessuno, credo, si immaginava che arrivasse dal governo un “liberi tutti” dal 4 maggio. Molti, penso, si aspettavano un “tutti più responsabili”. A cominciare da chi governa e detta le regole. Invece il succo del nuovo decreto è che si “libera” solo chi deve produrre. E il grosso di queste centinaia di migliaia di lavoratori sta nelle regioni industriali del Nord, Lombardia, Piemonte, Liguria. Quelle dove i focolai sono ancora accesi. Neanche un accenno, invece, al piano per contrastare il virus “casa per casa”, ai metodi diagnostici e al potenziamento della medicina territoriale per scovare tutti i contagi negli ambiti familiari (25% secondo l’ISS) e nelle case di riposo (44%). Nessuna indicazioni su cosa fare per la scuola (chiusa e basta?), per i bambini e i ragazzi di cui nessuno sembra volersi occupare, per proteggere meglio gli anziani senza tenerli carcerati. 

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La Lombardia ancora ieri aveva quasi il 40% dei nuovi contagi in Italia. Fin dall’inizio è la sola, vera grande bomba della pandemia. Dovevano chiuderla subito, è stata la regione rimasta più aperta di tutte. Con la metà delle attività produttive in funzione. Con zero interventi di screening e misure sul territorio per individuare e circoscrivere i casi. Con le case di riposo diventate case di sterminio. Il fallimento della sanità privatizzata. Responsabilità politiche enormi. Veneto ed Emilia-Romagna hanno contenuto i danni. Piemonte e Liguria sono ora le nuove emergenze.

Conte, con una supercazzola sulla Fase 2, sulla riapertura che non è una riapertura, neanche parzialissima, ci viene a dire che tutto il Paese, anche le regioni del Centro-Sud dove il virus è stato finora egregiamente contenuto, deve stare chiuso per altre due settimane. Difficile capire la logica, dal momento che è vietata la mobilità interregionale. Ma solo quella privata, non quella produttiva e commerciale. Per di più, con un decreto che ha punte insopportabili di ipocrisia e moralismo italiota-democristiana. Visite ai parenti sì, a fidanzati e amici no. Si può uscire per fare attività motoria anche lontano da casa, per andare in libreria, al ristorante o in pizzeria a ritirare il cibo da asporto, ma ci vuole comunque l’autocertificazione.

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Intanto in Lombardia hanno già deciso che dal 29 aprile riaprono i mercati all’aperto e che dal 4 maggio, quando ripartiranno pure le aziende che si erano fermate, manderanno almeno 1.500 persona l’ora sul metrò. Vi sembra ragionevole? Niente, non riusciamo proprio ad avere il coraggio e la forza politica di dire  la verità vera agli italiani. E la verità, pare a me, è che il cuore del problema, irrisolto, sia ancora e sempre la Lombardia, la Wuhan italiana.  Lì, e probabilmente anche in Piemonte e Liguria, mantenere la stretta per altre due settimane dopo il 4 maggio e intensificare le azioni per individuare e circoscrivere i contagi potrebbe essere decisivo. Ma per prendere una decisione così ci vorrebbe una maggioranza coesa, un governo forte, una politica con la P maiuscola, che davvero fa prevalere la salute agli interessi economici e al dio denaro. 

L’altra impressione, sgradevole, è che questa finta riapertura serva solo a prendere tempo, a coprire quello che ancora non si è riusciti a fare: più tamponi, screening territoriale, App e mappatura del contagio, isolamento dei malati e dei loro contatti, indagine epidemiologica nazionale, misure concrete di nuova organizzazione sociale nel lungo periodo che ci attende di convivenza con il virus (trasporti, lavoro, bambini, anziani). Investendo sulla responsabilità dei comportamenti, come stanno facendo in mezza Europa. Tutte cose su cui siamo indietro come le nespole cinesi.

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