Lontani dal virus, dove un'altra vita è possibile
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Lontani dal virus, dove un'altra vita è possibile

Il racconto della vita di Alessandro ed Edite a Caltabellotta, dove il virus non è arrivato

La famiglia che vive a Caltabellotta
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

21 Aprile 2020 - 15.19


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Salendo verso Caltabellotta, raggiunta contrada Gristarella per venire a trovare Alessandro, Edite e il loro piccolo Dario, se ti giri a guardare il mare facendoti spazio tra le fronde degli ulivi che cominciano a suggerire il raccolto di quest’anno, eccolo il Mediterraneo. Lo sguardo spazia da Sciacca alla foce del fiume Platani. Guardando all’interno, vedi i paesi di una “Sicilia altra”, meno conosciuta, con antiche e nuove resistenze ai modelli che dilagando hanno avuto l’effetto di uno tsunami su un benefico abbraccio tra uomo e natura stoltamente tradito. Il verde di ulivi e mandorli si tuffa nel blu di un Mediterraneo tormentato e pur sempre mitico. Favoleggiando un pò, solo un pò, potrrebbe dirsi che da qui si arriva a vedere l’Africa, tanto è libero lo sguardo. Caltabellotta, qui fu terra dei Sicani, era Camico, poi fu Triocala per i Greci. Inespugnabile, ricca di acque,generosa di terreni fertili. Mito e storia, perchè fu qui che nel 1302 Federico III divenne re di Trinacria.

Saliti fin qui dove il coronavirus non è riuscito ad arrampicarsi, dove l’uomo – per mano di Alessandro ed Edite – recupera e valorizza un antico rapporto con la natura. “Dove c’è natura – dice Alessandro – non è vita facile per il covid 19…”. Mentre nel resto del Paese e del mondo gli uomini per sfuggire all’insidioso nemico sono costretti a restarsene tappati in casa, qui le giornate non sono mai cambiate: l’orto rialzato da finire, il muretto a secco che Edite con antica maestria sta realizzando, la verdura selvatica da cogliere e cucinare. Il covid compare in tv solo pochi minuti, la sera, quando la giornata di lavoro è terminata e si mangiano le cose della terra.

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Strana storia quella di Alessandro ed Edite arrivati alla campagna dopo anni di vita in un’isola minuscola, Linosa, nel bel mezzo del Mediterraneo. Lì, per tredici anni, Alessandro ha avviato e fatto crescere l’esperienza di Linoikos, residenza per le vacanze, ma non solo. Punto di riferimento di tanti, qualificati viaggiatori. Nelle stanze di Linoikos e sulla terrazza della struttura di Alessandro, anche la troupe di “Fuocoammare”, con Gianfranco Rosi. Esperienza finita con tanti retroscena che anche Globalist a suo tempo ebbe a raccontare. Al tempo di Linosa, Alessandro conosce Edite, lei viene da Liepaja, città lettone sul Mar Baltico. E’ in Sicilia per un breve periodo di insegnamento, si innamora di Alesandro, della Sicilia, di Linosa. Se i siciliani, come ebbe a dire Andrea Camilleri, “si dividono in due categorie, di scoglio e di mare aperto”, Edite introduce una nuova categoria: siciliana di mare e di terra, spinta qui dai misteri della vita aiutati dal vento che tradizionalmente spazza dalle parti di Liepaja. Della Sicilia presto impara le magie della cucina, le sorprese di una natura straordinaria. “Per Dario faccio anche il latte di mandorla partendo dalle mandorle sgusciate. E con quel che resta – racconta – realizzo dei gustosi panetti, mai pensati dagli stessi sicilianii. Buoni”. Il guscio delle mandorle ad alimentare il fuoco del forno, il meglio, capace di dare un particolare profumo al pane.

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“Dopo l’esperienza di Linosa – racconta Alessandro – provammo ad andare lontano, lontanissimo. Per tre mesi, andammo a vivere in Australia. Rientrammo perchè quello che mangiavamo non era il cibo che pensavamo per il nostro Dario”. Edite nel frattempo era rimasta incinta, realizzarono il sogno di un lungo giro in 500, il “Giro del cappero”, nel 2016, alla scoperta di esperienze nuove, territori dimenticati, mestieri recuperati e raramente raccontati. “Il giro ci portò da queste parti – ricordano – Ci tornammo, iniziammo con un primo fazzoletto di terra, poi aggiungemmo altri piccoli fazzoletti di terra in abbandono. ..Ora abbiamo un ettaro e mezzo di ulivi, piante da frutta (“quaranta in questi due anni”), orti tradizionali e gli orti rialzati che stiamo realizzando. Orti rialzati, dal quali coglieremo ortaggi naturali tutto l’anno, e con minor fatica. Che ci daranno, in due anni, l’autosufficienza alimentare. E poi, di questa nostra esperienza vorremmo fare un elemento di didattica per grandi e piccoli, organizzare giornate da passare qui, imparando e gustando insieme i nostri prodotti. Tutto dovrebbe iniziare a settembre…”

La strada intrapresa da Alessandro ed Edite è quella della permacultura, l’idea di agricoltura pensata a metà degli anni ’70 da Bill Mollison e Davids Holmegren, agricoltura sostenibile, in un rapporto etico con la natura. sintesi di diverse scienze ecologiche.

Guardando ai nostri giorni, all’angoscia di queste ore, agli interrogativi che ci devono sul cosa abbiamo sbagliato nel nostro modo di vivere e tenere i rapporti con la natura, le parole di Alessandro sono un monito: “Chi non si connette con la natura perde l’equilibrio fisico e psichico che fa la differenza tra il vivere bene e il danno alla natura e all’uomo”.

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Elemento centrale del vivere bene è l’alimentazione. Qui, a casa di Edite e Alessandro, tanta verdura selvatica, anche quella dimenticata e magari falciata dagli aratri, che invece loro lasciano crescere nel loro campo. E poi legumi, uova e di tanto in tanto il pesce che arriva dal mare non lontano. Pane e pizze nel forno da loro realizzato, con semi di grano antico macinato dal loro piccolo molino.

Uno stile di vita smarrito, che ritorna e che si propone come modello, perchè no, per ridisegnare la vita dopo il coronavirus.

Quanto è aiutata l’agricoltura naturale? “Niente – dice con amarezza Alessandro – Eppure in Paesi come l’Inghilterra si è avanti 20 anni rispetto alla vecchia e superata idea del biologico, lì ci sono leggi che aiutano esperienze come la nostra, come quelle incontrate, qui e là, nel nostro giro  alla scoperta di un”sommerso” che invece dovrebbe essere modello di vita, soprattutto per i giovani che vogliono tornare alla terra e alla natura. Andrebbero incoraggiati, non scoraggiati e lasciati soli”.

Si è fatta l’ora di pranzo, Dario impugna la sua forchetta e mangia tutto con appetito, verdure comprese. Edite e Alessandro torneranno al lavoro, noi torniamo a contare le settimane che ci dividono da una incerta ripresa della vita, quella da rivoltare. Quando ci lasciamo, Edite e Alessandro ci salutano con il loro sogno: alzare al centro del terreno una Yurta, una “casa tenda” progettata come quella della tradizione mongola.

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