La mafia si sarà spellata le mani per la maxi grigliata di Palermo
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La mafia si sarà spellata le mani per la maxi grigliata di Palermo

La carica di sfida che c'era in quella celebrazione sui tetti dello Sperone, eclatante, rumorosa, va letta con più attenzione.

Grigliata sul tetto a Palermo
Grigliata sul tetto a Palermo
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

13 Aprile 2020 - 12.02


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La maxi grigliata con danze latine e musica neomelodica sui tetti dello Sperone di Palermo ha divertito tanti, ha indignato molti, inquietato pochi. I più lo hanno guardato come si può riguardare la scena di un volgare baccanale di Cetto La Qualunque.
Ma quel che è accaduto ieri sui tetti senza parapetto dello Sperone, con nello sfondo il mare azzurro di Palermo non è un aspetto “tascio”, volgare di una tradizione fortemente popolare alla quale quella fetta di popolo non ha saputo rinunciare. Si, ieri – come sarà probabilmente oggi – c’è stato chi non ha saputo rinunciare al tipico “altare” profano della Pasqua, e questo ci sta, e dispiacerebbe se sparisse.
Ma la carica di sfida che c’era in quella celebrazione sui tetti dello Sperone, eclatante, rumorosa, va letta con più attenzione. Tutto documentato dai vicini che hanno fatto partire le prime segnalazioni, ma anche degli stessi “baccanti” che hanno registrato oltre che le immagini dell’ampia e squallida spianata della terrazza condominiale, anche le voci, le cose dette, gli “slogan”, tutte coi toni della sfida, dove non si salvava nessuno, dal sindaco al virus.
Visti tutti dall’altra parte della loro barricata, virus, autorità e limitazioni. Quale barricata? Sarebbe superficiale anche la lettura che affibbiasse a quel misto umano della terrazza dello Sperone una missione direttamente mafiosa, ovvio. Ma è anche vero che se la mafia fosse stata tra gli spettatori di quelle scene, certo che la mafia si sarebbe spellata le mani nell’applaudire la performance, le parole d’ordine che risuonavano tra una canzone neomelodica e una samba.
C’erano tante componenti per compiacerla, soprattutto l’elemento di sfida giocato dall’inizio alla fine, dove per fine si è pensato ai fuochi d’artificio, clamorosi quanto pericolosi, quelli che hanno accolto l’elicottero della polizia sulle griglie fumanti e le casse di birra. Scena incredibile, non pensata neanche dagli sceneggiatori di Gomorra, ancor prima da Ciprì e Maresco per la loro cinica Palermo. Scena che, ad una prima rilettura non ho trovato nelle cronache delle manifestazioni eclatanti dei Narcos.
Tutto “spontaneo”, ma maledettamente riconducibile ad un copione, forse mai scritto, ma che ha finito con lo scrivere una pericolosa “burla” alle regole della legalità. Se, come è quasi certo, la mafia non ha giocato alcun ruolo diretto nell’inedito picnic, è vero che da quella terrazza la logica di Cosa nostra ha incassato un “credit” niente male. Si sa, la mafia sa intestarsi quel che vuole intestarsi, non solo la parte profana del quotidiano, anche quella sacra.
Sa far muovere una processione nei giorni più sacri, come quelle che si sono mosse in Calabria come nella stessa Palermo popolare il giorno del Venerdì santo; sa condividere gioia e rabbia di una curva di stadio, sa farsi protagonista di una festa che dalla scadenza sacra del calendario scivola veloce e decisa nella china più laida, sa entrare, non invitata, anche in una festa familiare. Alla mafia piace confondere, esserci senza esserci, decidere apparendo estranea. Piace far piangere e far ridere, sempre attenta, com’è, a cavalcare tutto quello che porta acqua, consenso e soldi al suo mulino.

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