Via Crucis, anche un ergastolano tra gli autori delle meditazioni lette in una Piazza S. Pietro deserta

Il cammino della Croce è condotto da due gruppi di cinque persone ciascuno: quello della Casa di Reclusione "Due Palazzi" di Padova e quello, in camice bianco, della Direzione Sanità e Igiene del Vaticano.

Via Crucis
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10 Aprile 2020 - 20.17


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Dal sagrato della Basilica di San Pietro, anche questa volta deserta, il Papa sta celebrando la Via Crucis di Pasqua. E le meditazioni sono state scritte da cinque detenuti, di cui un ergastolano in regime di 41bis, una famiglia vittima di omicidio, la figlia di un ergastolano, un’educatrice, un magistrato di sorveglianza, la madre di un carcerato, una catechista, un sacerdote accusato ingiustamente di pedofilia e poi assolto con formula piena, un frate volontario e un poliziotto, tutti collegati alla Cappellania della casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova. 
Il cammino della Croce è condotto da due gruppi di cinque persone ciascuno: quello della Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova e quello, in camice bianco, della Direzione Sanità e Igiene del Vaticano.
Il Papa segue sotto un baldacchino sul sagrato della basilica vaticana, mentre il percorso, all’interno del colonnato berniniano vuoto, ha inizio nei pressi dell’obelisco, gira attorno allo stesso per otto stazioni e poi procede verso il “ventaglio” per quattro stazioni. Sotto il “ventaglio” è collocato il Crocifisso di San Marcello, rivolto verso il Papa. Qui è collocata la dodicesima stazione. La tredicesima stazione è a metà del “ventaglio”, mentre l’ultima è sopra la piattaforma. Tutto l’itinerario è segnato da fiaccole a terra.
“Crocifiggilo, crocifiggilo!”. La persona che commenta la I stazione (“Gesù è condannato a morte”) è un ergastolano. Crocifiggilo “è un grido che ho sentito anche su di me”, scrive. La sua crocifissione è iniziata quando era bambino, un bambino emarginato, ora si dice più simile a Barabba che a Cristo. Il suo passato è qualcosa per cui prova ribrezzo. “Dopo ventinove anni di galera – afferma – non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi del male compiuto (…) però ho sempre cercato un qualcosa che fosse vita”. Oggi “avverto, nel cuore, che quell’Uomo innocente, condannato come me, è venuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita”.

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