Il racconto di una giovane infermiera siciliana:" Avvertimmo la gravità, ci lasciarono allo sbando"
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Il racconto di una giovane infermiera siciliana:" Avvertimmo la gravità, ci lasciarono allo sbando"

Parla la sorella di un'infermiera residente a Pavia: "Lei ha capito la gravità del Covid-19 e ha avvisato non soltanto noi, la famiglia, che spesso viaggiamo per lavoro, ma la struttura dove lavora"

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8 Aprile 2020 - 14.35


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“I medici, gli infermieri, gli operatori sanitari non sono eroi, ma sono vittime del sistema. Chiamarli eroi è un gioco ingannevole”. Così parla la sorella di una giovane infermiera siciliana che lavora a partita Iva in una struttura sanitaria di Pavia. La giovane infermiera – è il racconto raccolto da Agrigentonotizie – dopo giorni di febbre alta, oggi è stata sottoposta a tampone.
La famiglia è lontana, in Sicilia, ma la giovane infermiera non è sola nella città in cui ha scelto di vivere e lavorare, è con il fidanzato. Per i suoi familiari – in attesa dell’esito del test – sono ore di ansia. Nella ricostruzione di queste settimane passate dalla giovane infermiera siciliana si legge quel che si sta denunciando in queste ore. Il racconto di sottovalutazioni, leggerezze, protocolli non rispettati, tutela negata agli operatori del settore. Allo scoppio dell’emergenza, la giovane infermiera, seppure precaria, non ha avuto alcuna esitazione, ha scelto di restare in Lombardia, ad accudire gli ospiti della struttura.
“Mia sorella – è il racconto che arriva dalla Sicilia –  lavora in questa struttura ospedaliera da diversi anni, ma con la partita Iva, in attesa che un ospedale della Lombardia la chiami per una assunzione a tempo indeterminato poiché è vincitrice di concorso. Mia sorella è infermiera per passione, lavora con pazienti spesso anziani. Nonostante sia infermiera, spesso si ritrova a fare il lavoro degli operatori sanitari o dei medici…”.
Il ritratto è quello di una giovane entusiasta, sveglia, energica: “Fin dall’inizio – continua il racconto della sorella – lei ha capito la gravità del Covid-19 e ha avvisato non soltanto noi, la famiglia, che spesso viaggiamo per lavoro, ma la struttura dove lavora. Più di una volta, ha chiesto che venissero prese delle precauzioni, che venissero rispettati i protocolli – racconta la sorella – si è offerta di imboccare i pazienti qualora fosse stato necessario, ma ha evidenziato che era indispensabile chiudere il reparto alle visite esterne. Non è stato però fatto… Mia sorella ha continuato a lavorare senza protezione, ha tenuto la mano ai suoi pazienti, ha fatto loro coraggio e compagnia. Ha visto morire, uno dopo l’altro, i ‘suoi vecchietti’, così come li chiama lei”.

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