Locatelli: "I segnali positivi ci sono, ma riaprire ora sarebbe irresponsabile"
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Locatelli: "I segnali positivi ci sono, ma riaprire ora sarebbe irresponsabile"

Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità: "Non abbiamo ancora centrato l'obiettivo, ossia far diminuire il valore R0. E ci vorrà ancora qualche settimana prima di vedere i risultati"

Franco Locatelli
Franco Locatelli
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29 Marzo 2020 - 08.42


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“Riaprire ora è francamente prematuro, inopportuno, e vanificherebbe tutti i sacrifici fatti oer fermare l’avanzata del coronavirus nel nostro paese”. Parla Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, in un’intervista per HuffPost all’indomani delle dichiarazioni di Matteo Renzi che vorrebbe riaprire prima di Pasqua, ossia tra meno di dieci giorni. Una proposta che è stata bollata nel migliore dei casi come ‘folle’ da tutta la comunità scientifica, e Locatelli non fa eccezione. 
“La riduzione del dato relativo agli accessi ai pronto soccorso deve essere una spinta a mantenere le misure di contenimento e distanziamento sociale attualmente in vigore” spiega Locatelli, che continua: “L’obiettivo, non ancora centrato, è far abbassare sempre di più il valore R0 (“erre con zero”, che indica il tasso di contagiosità di un virus) fino a raggiungere almeno quota 1 (che vuol dire: una persona ne contagia 1). Farlo diminuire ancora, portandolo, dunque, sotto quota 1 sarà possibile solo facendo attenzione al contagio interfamiliare e attraverso politiche ben strutturate di contact tracing (per rintracciare tutte le persone venute in contatto con i contagiati)”. 
“Non saremmo arrivati a registrare questi numeri se non avessimo messo in atto misure così stringenti, che ci sono costate restrizioni della nostra libertà individuale, della nostra vita sociale e limitazioni alle attività produttive e lavorative. Un prezzo che il Paese ha pagato e continuerà a pagare ancora per un po’”. 
Prolungare la quarantena
“Per quello che mi riguarda, non ho dubbi sull’opportunità di prolungare per altri quindici giorni le disposizioni attualmente in vigore. Nessuno vuole mortificare il Paese, ma non possiamo piangere oltre 10.000 morti e riaprire quattro, cinque giorni dopo aver registrato una stabilizzazione e una lieve deflessione del numero dei nuovi positivi”.
“Nessuno sottovaluta l’impatto economico delle misure varate e il sacrificio richiesto a milioni di persone. Ma va tenuto presente che la riapertura sarà un percorso decisionale tutt’altro che facile. Vuoi perché siamo il primo Paese dell’Occidente a dover compiere una scelta del genere vuoi per la situazione che l’epidemia ha determinato in Italia. Chiudere è stato un atto dolorosissimo, ma paradossalmente più facile rispetto alla necessità di individuare i criteri per riaprire, per non pagare un prezzo troppo alto e non vanificare quello che si è fatto, lo sforzo congiunto del Governo, del Ministero della Salute con i suoi organi e delle Regioni, che hanno portato avanti un lavoro meritorio”.
Come organizzare la riapertura

“È importante sviluppare strategie solide basate su studi specifici. Penso, ad esempio, a quelli finalizzati a verificare la sieroprevalenza, ossia quanti soggetti hanno sviluppato anticorpi, anche per capire se c’è l’immunità di gregge. È possibile, poi, che vengano compiute scelte differenziate a seconda della diffusione del contagio nelle varie zone del Paese. Oggi abbiamo Regioni – la Lombardia e il Piemonte – e zone – la parte alta dell’Emilia Romagna – ad alto impatto epidemiologico, altre con impatto epidemiologico intermedio e altre ancora – il Molise e la Basilicata – dove l’impatto è minore. Aprire sarà piacevole e tutti lo faremo con gioia, ma le scelte per farlo vanno ponderate per non rendere vani gli sforzi compiti. Servono studi e valutazioni caute e attente. Ne riparleremo tra qualche settimana”. 

“Dobbiamo dare messaggi motivazionali. Anche perché le persone sono disposte a fare sacrifici se vedono e comprendono le ragioni per sostenerli. Ebbene: qui è in gioco la vita di tutti noi, soprattutto dei più fragili. Penso agli anziani, un patrimonio inestimabile eppure non considerato come si dovrebbe. I risultati delle misure adottate li stiamo vedendo, andiamo avanti così. Il direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità non indica l’Italia come un modello per tutto il mondo per simpatia nei nostri confronti”. 

Il problema dei tamponi

“Partiamo dal presupposto che il tampone riflette la situazione esistente in termini di diffusione del contagio nel momento in cui viene effettuato, per cui una persona risultata negativa oggi può rivelarsi positiva tra tre giorni. Alla luce di questo, è ovvio che non c’è alcuna possibilità di condurre campionamenti diffusi e ripetuti su tutta la popolazione italiana. Una politica di questo genere non trova riscontro né nelle indicazioni dell’Oms né nelle linee seguite dagli altri Paesi del mondo. A oggi, in Italia, che con 400.000 tamponi complessivi è il Paese che ne ha realizzati più di tutti, ne vengono effettuati circa 30.000 al giorno. Dal Ministero della Salute, dal Comitato tecnico scientifico della Protezione civile e dal Consiglio Superiore di Sanità sono arrivate indicazioni chiare, in linea con quelle dell’Oms”. 

“Abbiamo raccomandato di effettuare i tamponi a quanti manifestassero anche un solo sintomo dell’eventuale contagio, o provenissero da aree ad alta incidenza epidemiologica, o avessero avuto contatti con persone risultate positive al Covid-19. Di più, abbiamo dato indicazioni perché si effettuino i tamponi in via prioritaria al personale sanitario, medico e infermieristico, per tutelare la loro salute e contestualmente quella dei pazienti e degli ospiti ricoverati nelle strutture – penso anche alle rsa (le residenze sanitarie assistenziali, ndr) – in cui operano. E poi c’è un’altra questione da tenere presente”.  

“Nonostante lo sforzo enorme compiuto per aumentare il numero dei laboratori accreditati – in Lombardia, ad esempio, si è passati da 3 a 22 – c’è un problema di queste strutture, che devono far fronte pure a disponibilità limitate disponibilità del reagente per processare i test, a gestire i campioni. Non si può pensare di effettuare tamponi, ripetuti a pochi giorni di distanza, a 60 milioni di persone”.

I numeri della Protezione Civile 

“I dati diramati dalla Protezione civile sono esattamente quelli che provengono dalle realtà regionali e riportano i casi dei soggetti sintomatici. È chiaro che c’è una quota di asintomatici che non viene intercettata, ma dire quanti sono è un esercizio quasi impossibile. Indicazioni ulteriori arriveranno di certo dagli studi di sieroprevalenza, che vanno compiuti per saperne di più di come questa brutta storia si è sviluppata nel nostro Paese”.

Quanto durerà 

“Alcuni Paesi – penso agli Usa e alla Gran Bretagna – inizialmente orientati su scelte diverse, hanno dovuto compiere improvvisi e precipitosi passi indietro. L’esplosione dei casi negli Stati Uniti non è casuale. Quanto alla durata dell’epidemia da noi, è una previsione non facilissima, dipenderà anche da quello che succederà negli altri Paesi. Col Covid-19 dovremo convivere ancora per un po’, ma di certo il virus nei tempi a venire non avrà il medesimo impatto epidemico, né farà registrare il numero dei morti, di oggi. Ci saranno focolai epidemici più piccoli, localizzati in alcune zone. Che è poi l’obiettivo cui tendevano gli sforzi incredibili compiuti in queste settimane in cui siamo riusciti, tra le altre cose, a raddoppiare i posti in rianimazione, a potenziare strumentazioni e attrezzature. Non va dimenticato poi, e mi auguro che il Paese ne conservi memoria, il sacrificio di vite umane del personale sanitario, medico e infermieristico”.

“Fare una previsione sui tempi è un esercizio al limite dello stocastico, lascia il tempo che trova. Non dobbiamo avere paura di dire che i segnali di riduzione dei nuovi casi di positivi e la minore pressione negli accessi ai pronto soccorso motivano e non poco. Vorremmo vedere risultati anche sul piano dei numeri della mortalità, ma dobbiamo avere un po’ di pazienza per aspettare i tempi che intercorrono tra quando ci si infetta e quando sopraggiunge la morte. Andando avanti così li vedremo certamente”. 

Quali comportamenti dovremo adottare

“Il contagio interfamiliare è l’altro grande motore su cui può andare a innestarsi la diffusione epidemiologica del coronavirus. Far diminuire il valore R0, portandolo prima a 1 e poi sotto tale quota, sarà possibile solo facendo attenzione al contagio interfamiliare e attraverso politiche ben strutturate di “contact tracing”. È quindi fondamentale, quanto più possibile nell’ambito dei contesti familiari, implementare le misure stringenti di contenimento dei soggetti risultati positivi. I familiari dei concittadini positivi al Covid-19 limitino i contatti esterni per interrompere questa catena di trasmissione. Per quel che riguarda gli anziani, la nostra radice storica, vanno tutelati evitando che escano di casa. Se sono residenti nelle case di riposo o rsa, in questa fase rinunciamo alle visite. Queste strutture infatti, come gli ospedali, rischiano di essere un volano di amplificazione del contagio che potrebbe far aumentare il numero dei morti per coronavirus. Vede, io sono originario della provincia di Bergamo, la zona più martoriata da questa pandemia in Italia. Seicento miei conterranei ospitati in rsa hanno perso la vita, un numero enorme. Cerchiamo di tutelare le persone fragili e gli anziani. Mi auguro che la triste vicenda che stiamo vivendo ci sia utile per comprendere il valore di questo patrimonio e anche per un’altra cosa”. 

“Purtroppo il nostro Paese si è distinto per pulsioni no vax, impulsi deprecabili, che spero non compaiano più all’orizzonte. Ecco, il mio auspicio è che questa brutta storia riporti al centro dell’attenzione la cultura della vaccinazione, basata su un principio chiaro: difendere se stessi vuol dire difendere gli altri”

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