Con un evento epocale per la Chiesa Francesco ci ha regalato consolazione e speranza
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Con un evento epocale per la Chiesa Francesco ci ha regalato consolazione e speranza

Ha inviato la sua benedizione urbi et orbi, a tutti, come fosse una carezza di affetto per tutta l’umanità. Nel nome della Misericordia.

Papa Francesco
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

27 Marzo 2020 - 18.47


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Per la prima volta nella storia millenaria della Chiesa una benedizione alla città e al mondo è stata impartita senza formule, con il Santissimo posto davanti all’enorme scritta marmorea che nella Basilica di San Pietro ricorda l’11 ottobre del 1962, il giorno dello storico discorso della luna pronunciato da Giovanni XXIII, quello della carezza. Da lì papa Francesco ha inviato la sua benedizione urbi et orbi, a tutti, come fosse una carezza di affetto per tutta l’umanità. Nel nome della Misericordia.
Un evento epocale per la Chiesa, un momento di profonda consolazione e speranza per tutti. E’ stato il momento più alto, culminante, di una preghiera che non ha seguito formule, abitudini, come il momento che il mondo vive. La pioggia che ha accompagnato questo “rito” dall’inizio alla fine ha completato il momento di commozione collettiva, come fosse un pianto.
Tutto era cominciato con l’ingresso del papa nell’enorme piazza vuota. Solo. Papa Francesco da solo, nel silenzio che ha definito assordante di Piazza San Pietro, della città, del mondo. Il papa da solo, davanti alla basilica ha voluto che fossero esposti il crocifisso della chiesa Roma di San Marcello e l’icona bizantina raffigurante la Salus Populi Romani. Ma non c’era la speranza di un valore magico in questi simboli, nell’icona protettrice della città e nel crocifisso portato in processione a Roma al tempo della peste. No, quei simboli servivano a dire ai romani, agli italiani e a tutti i popoli del mondo che tutti apparteniamo a una comunità, a una storia, a un cammino che troverà la salvezza soltanto nell’unità e mai nella solitudine atterrita dalla paura.
Solo. Papa Francesco si è fatto carico delle paure di tutti ricordando la paura degli apostoli che nel brano evangelico chiedono a Gesù addormentato “non ti interessa di noi? Siamo perduti!” Gesù addormentato a prua, la parte più esposta dell’imbarcazione, acquieta le acque e poi chiede loro: “ancora non avete fede?” Agganciandosi a questo brano evangelico il papa ha affermato: “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi”. Ma “da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo”, chiede che “scenda” su tutti, “come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio”. “Signore – dice il Papa –, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori”. In questi momenti, del resto, “quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità”. Davanti all’umanità rinchiusa nelle sue case il papa ha proseguito ricordando che “Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti”, “tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”.
Solo capendo che non siamo in guerra perché non c’è un nemico se non la superbia di ciascuno di noi scopriremo di poterci salvare ricollegando alla storia di ciascun popolo e al resto dell’umanità. Siamo perduti? No, la risposta del papa è stata chiarissima: “ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”. Il Vangelo va capito, afferma Francesco e la tempesta di cui parla smaschera la vulnerabilità e “lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità”. La tempesta ha posto “allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità”.
Le radici di cui ha parlato il papa erano ben visibili dietro di lui, l’icona e il crocifisso come simboli di una storia che non è finita, ma per continuare deve ritrovare l’abbraccio della fratellanza, che non può che essere reciproca, e comune con tutti i popoli. “E’ caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Arrivato qui Francesco non poteva tradire se stesso. C’è una lezione da imparare per rialzarsi. “Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.”
Sempre sani in un mondo malato… Non ci sono castighi di Dio, no, ma Dio non può amare la superbia. Il papa del documento sulla fratellanza umana e dell’enciclica Laudato si’ doveva chiedere a tutti noi in questo momento di pandemia globale un esame di coscienza a, per guarire con il mondo e con i nostri fratelli. Poi ha proseguito: “Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: ‘che tutti siano una cosa sola’. Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti”.
Qualche nostalgico di Stalin si chiederà di quante divisioni disponga il papa per vincere la guerra al virus. Ma non c’è una guerra. Non siamo in guerra. La guerra richiede un nemico esterno, che non esiste, esiste un nemico interno però, e scegliere la via della fratellanza umana e del rifiuto del dominio della natura, per piegarla alla nostra smania di risorse ci salverà. Questo è il messaggio epocale di un papa che non rinuncia a chiederci di volerci salvare, davvero.

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