Abbattere i ghetti, in nome di una solidarietà che non va in quarantena
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Abbattere i ghetti, in nome di una solidarietà che non va in quarantena

“Tutelare la salute dei migranti costretti nei ghetti”. La Federazione delle chiese evangeliche in Italia, attraverso il programma Mediterranean Hope , ha aderito.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Marzo 2020 - 21.10


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Una corsa contro il tempo per abbattere quei ghetti che possono trasformarsi in focolai incontrollabili di infezione.

“Agire subito per tutelare la salute dei migranti costretti negli insediamenti rurali informali e nei ghetti”. E’ questo l’oggetto e il titolo della lettera-appello della società civile alla quale la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, attraverso il suo programma migranti e rifugiati, Mediterranean Hope , ha deciso di aderire.

Abbattere i ghetti

Un documento, firmato da associazioni, sindacati, realtà impegnate nella difesa dei diritti dei migranti, che chiede maggiori tutele per le persone di origine straniera che lavorano o vivono nel nostro Paese e vivono condizioni di particolare vulnerabilità, in questo momento di emergenza sanitaria. Dalla messa in sicurezza di chi vive nei “ghetti”, fino alla regolarizzazione di chi lavora “in nero”.

“La scelta di aderire convintamente all’appello – spiega Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope – in un momento così difficile per tutti gli italiani e per il Paese non possiamo dimenticare le migliaia di lavoratori stranieri che vivono in condizioni degradanti e di sfruttamento alle quali oggi si aggiunge il rischio di un drammatico contagio. Per questo ci associamo ad ogni azione finalizzata a smantellare i ghetti e a garantire anche ai lavoratori immigrati impegnati nell’agricoltura stagionale, condizioni sanitarie adeguate.  Dobbiamo capire che salvaguardando la salute degli immigrati, oggi combattiamo più efficacemente la pandemia. In questa prospettiva come MH siamo fiduciosi che a breve possa aprirsi presso il Ministero dell’Interno un tavolo che avvii progetti urgenti di ricollocazione dei migrati che oggi vivono nei ghetti che sorgono informali nei pressi delle zone di produzione agricola. Di fronte alla pandemia non c’è più il muro che divide ‘noi’ e ‘loro’ perchè insieme siamo chiamati ad agire e operare per i bene reciproco”.

Sono 85.324 i migranti inseriti nel circuito italiano: 254 negli hotspot, 62.650 nei Cas, 22.420 nei centri Siproimi (ex Sprar). La cifra più alta è nell’epicentro del Covid-19, la Lombardia: 9.898 nei Cas e solo 1.998 nei Siproimi, 292 i minori non accompagnati. Seguita dall’Emilia-Romagna con 6.741 nei Cas, 2.038 negli ex Sprar, 480 i minori non accompagnati.

Il migrante irregolare non è ovviamente iscritto al Sistema Sanitario Nazionale e di conseguenza non ha un medico di base e ha diritto soltanto alle prestazioni sanitarie urgenti. Il migrante sprovvisto del permesso di soggiorno, nei casi di malattia lieve (qualche linea di febbre, un po’ di tosse) non si rivolge alle strutture sanitarie, mentre nei casi più gravi non ha alternativa al presentarsi al pronto soccorso, il che contrasterebbe con tutti i protocolli adottati per contenere la diffusione del virus. Il sans papier ha timore di presentarsi in un ospedale, perché potrebbe incappare in un controllo che lo condurrebbe all’espulsione o alla reclusione in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio. Il “clandestino” è costretto a soluzioni abitative di fortuna, in ambienti spesso degradati e insalubri, condivisi con altre persone.
Insomma, gli “invisibili” sono per molti aspetti soggetti deboli, che se non sono più esposti al contagio del virus, più di altri rischiano di subirne le conseguenze: sanitarie, per la plausibile mancanza di un intervento tempestivo, ma anche sociali, per lo stigma cui rischiano di essere sottoposti a causa di responsabilità e inefficienze non loro ascrivibili.

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Appello al Capo dello Stato e al Governo

Una sanatoria contro il Coronavirus, per garantire l’accesso alle cure e al lavoro pulito a chi vive nei ghetti del nostro paese. Questa la proposta lanciata da Terra! e Flai Cgil in una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e ai Ministri Teresa Bellanova (Agricoltura), Nunzia Catalfo (Lavoro), Lamorgese (Interni) e Provenzano (Sud). All’appello hanno aderito Don Ciotti (Presidente di Libera e Gruppo Abele), Luigi Manconi, Roberto Barbieri (Direttore di Oxfam Italia), Riccardo Vito (Presidente di Magistratura Democratica), Valentina Calderone (Direttrice di A Buon Diritto), Medici per i diritti umani (MEDU), Marco Omizzolo (Ricercatore Eurispes e Presidente di Tempi Moderni), Danilo Chirico (Presidente DaSud), Antonello Mangano (Terrelibere), Marina Galati (Vice presidente Coordinamento nazionale comunità di Accoglienza), Csc Nuvola Rossa, Co.S.Mi e Sanità di Frontiera.
“Come rappresentanti di sindacati e organizzazioni del terzo settore impegnate nel campo dell’ecologia, della tutela dei diritti umani, sociali e civili, i firmatari esprimono “profonda inquietudine e preoccupazione per le migliaia di lavoratori stranieri che abitano nei tanti ghetti e accampamenti di fortuna sorti nel nostro paese”. Molti di loro sono impiegati nel settore agricolo, indispensabile per la sicurezza alimentare. Ma come è noto, si legge nel testo, “le condizioni dei braccianti che oggi raccolgono i prodotti destinati alle nostre tavole sono spesso inaccettabili: le baraccopoli in cui sono costretti a vivere sono luoghi insalubri e indecenti, agli antipodi del valore stesso dei diritti umani”.

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“C’è il rischio che il Covid-19 arrivi in quegli insediamenti, tramutandoli in focolai della pandemia. Ma le soluzioni ci sono: la lettera segnala che i Prefetti – destinatari di nuovi poteri a seguito del Dcpm del 09 marzo – possono adottare disposizioni volte alla messa in sicurezza dei migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio, mediante l’allestimento o la requisizione di immobili a fini di sistemazione alloggiativa. Questo è dunque il momento di svuotare i ghetti e offrire un’alternativa migliore alle persone che li abitano. Non solo dal punto di vista igienico-sanitario, ma anche dei diritti fondamentali: molti stranieri si trovano oggi in condizioni di irregolarità acuite dai decreti sicurezza e non cercano lavoro per timore di essere fermate ai posti di blocco proliferati a seguito delle disposizioni anti-Coronavirus. Di qui la proposta di una sanatoria per far emergere chi è costretto a vivere e lavorare in condizioni di irregolarità. Sarebbe una misura di equità che, peraltro, arriverebbe in una fase di particolare crisi del settore primario. Gli agricoltori, infatti, hanno visto calare drammaticamente la disponibilità di lavoratori agricoli in alcune aree del Paese, perché l’emergenza Covid-19 ha causato l’interruzione dei flussi dai Paesi dell’Est Europa. Si è verificato infatti un rientro massivo da parte di persone immigrate da Romania e Bulgaria, mentre gli arrivi previsti dalla Polonia si sono azzerati.
“Il Coronavirus si batte anche promuovendo diritti e tutele – dichiara Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! – Le istituzioni possono finalmente dare corpo alla volontà di non lasciare nessuno indietro in questa emergenza. La sanatoria per tutti gli stranieri irregolari è indispensabile per consentire loro l’accesso alle cure e al lavoro, in un momento in cui i ghetti sono una potenziale bomba sanitaria e l’agricoltura è in crisi di manodopera. Ma questa non dev’essere l’occasione per rifornire il settore primario di lavoro a buon mercato in un momento di shock economico: accanto alle misure di regolarizzazione chiediamo un più forte impegno per contrastare il lavoro nero e il caporalato”

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Una richiesta che non può risolversi con la militarizzazione del territorio. Lo Stato di diritto è all’opposto di uno Stato di polizia. Anche al tempo del Coronavirus.

E in campo scende anche Amnesty International Italia con la richiesta rivolta al presidente del Consiglio affinché in questo momento di grave difficoltà per il tutto il Paese, intervenga urgentemente per affrontare la situazione drammatica dei Centri per il rimpatrio (Cpr), nei quali si trovano in detenzione amministrativa persone straniere irregolarmente presenti sul territorio in vista del loro rimpatrio. “Le condizioni all’interno dei Cprsia per il numero eccessivo di persone che condividono uno stesso ambiente, che per l’assenza di condizioni igieniche adeguate, non consentono l’applicazione di misure adeguate per il contenimento del Covid-19. Nessun provvedimento specifico risulta essere stato adottato finora per porre rimedio a questa situazione nell’interesse delle persone detenute, del personale e degli operatori, e del paese intero. Oltretutto, sottolinea Amnesty International Italia, la detenzione in un Cpr è finalizzata, secondo il diritto dell’Unione europea e quello italiano, esclusivamente ai rimpatri forzati, rimpatri che in questa fase, per un periodo che si prevede piuttosto lungo, non potranno essere certamente attuati. Continuare a permettere nuovi ingressi e a trattenere nei Cpr persone la cui detenzione scade a breve, ben prima della probabile riattivazione delle misure di rimpatrio, semplicemente non ha senso: si tratta di una detenzione non solo illegittima ma anche irragionevole, dal momento che contribuisce a creare affollamento nelle strutture e condizioni di più facile propagazione del Covid-19. Amnesty International Italia si aggiunge pertanto alla voce di chi – dal Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà alle numerose organizzazioni della società civile – chiede al governo Conte di porre urgentemente l’attenzione sulla situazione del Cpr, invitando come minimo a fermare i nuovi ingressi e a rilasciare le persone i cui termini di detenzione hanno una scadenza ravvicinata”.

La solidarietà verso i più deboli e senza diritti non va in quarantena.

 

(parte seconda, fine)

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