Piero, malato di Sla, vorrebbe donare il proprio ventilatore a chi lotta contro il Coronavirus

Piero pensa di donare il suo ventilatore di riserva. Ma è difficile che possa accadere, spiega la moglie: "Per chi è nelle sue condizioni un ventilatore di riserva è fondamentale quasi quanto quello effettivo"

Piero Floreno
Piero Floreno
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18 Marzo 2020 - 21.04


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Piero Floreno è malato da dieci di Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, e ha deciso di donare il proprio ventilatore polmonare di riserva a chi è malato di coronavirus. Pietro vive a Nichelino e nonostante la sua malattia, che lo ha aggredito nella forma più aggressiva, ha espresso il desiderio di contribuire alla lotta contro il Coronavirus: “Ci ho pensato tutta la notte. Ma perché uno dei miei due ventilatori polmonari non lo diamo in prestito agli ospedali, che in questo momento ne hanno tanto, troppo bisogno? Visto che uno lo teniamo di riserva, può invece aiutare subito una persona colpita dal virus. E se l’emergenza finisce entro due o tre mesi, poi ce lo riportano” ha detto Pietro alla moglie Antonella. 
La proposta di Piero ha emozionato la moglie, anche se non si può dire che non se l’aspettasse: “Lui è così, è sempre stato questo. Una persona di una generosità infinita, che cerca di fare anche cose molto complicate da attuare”. Difficilmente però il suo desiderio potrà essere esaudito. Dal punto di vista sanitario, infatti, il respiratore di riserva è fondamentale quasi come quello operativo. Può avvenire un guasto improvviso, un imprevisto che per chi è nelle condizioni del 57enne rischia di essere fatale senza una soluzione pronta in una manciata di secondi. Ammetto che quando Piero mi ha detto cosa voleva fare ho provato una certa ansia – dice la moglie –, è una persona combattiva: pensi che prima di finire nelle mani del reparto delle Molinette, dove è in cura oggi, ha voluto aspettare fino all’ultimo prima di accettare l’intervento che lo ha portato a dipendere dal ventilatore. È rimasto colpito da quanto sta succedendo nel mondo. E ancora una volta non poteva stare con le mani in mano”.

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