Le Ong contro la quarantena delle navi per il Coronavirus: "È come fermare le ambulanze"
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Le Ong contro la quarantena delle navi per il Coronavirus: "È come fermare le ambulanze"

Sia la Sea Watch che la Ocean Viking sono ferme, ma non ci sono casi né a bordo né tra i migranti e in tutta l'Africa si registrano solo 3 ccontagiati. Precauzione inutile? Intanto la gente muore in mare

Sea Watch 3
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28 Febbraio 2020 - 17.12


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Dopo essere approdata ieri al porto di Messina con 194 migranti a bordo, la Sea Watch 3 è stata messa in quarantena per il rischio Coronavirus. Tutti i migranti sono stati spostati in una caserma, mentre l’equipaggio è rimasto a bordo, e così rimarranno fino all’11 marzo, nonostante non si registrino casi in Africa (ce ne sono solo 3 in tutto il continente). Stessa sorte è toccata alla Ocean Viking, da cinque giorni ancorata al porto di Pozzallo dopo aver fatto sbarcare 276 persone. 
Un danno, se consideriamo che in Africa il virus non c’è e che, se si tolgono le Ong dal Mediterraneo aumenteranno solo i morti per una precauzione non necessaria. Le Ong stanno ribandendo questo punto: “Mettere in quarantena le navi di ricerca e soccorso è come fermare le ambulanze nel mezzo di un’emergenza. Una misura discrminatoria che viene applicata solo a chi cerca di salvare vite in mare” denuncia Michael Fark, capomissione di Msf per il Mediterraneo e la Libia.
“Nelle ultime 48 ore” continua Fark, “sono arrivate nuove segnalazioni di imbarcazioni in pericolo nel Mediterraneo centrale. Siamo profondamente preoccupati per la sorte di quelle persone. Abbiamo rispettato tutte le misure preventive e al momento non c’è motivo per ritenere che alcun membro dell’equipaggio della Ocean Viking sia stato o sia a rischio di contrarre il virus. Mentre il conflitto in Libia peggiora, migranti e rifugiati intrappolati nel paese non hanno altra scelta se non rischiare la vita fuggendo attraverso il Mediterraneo. È urgente che la Ocean Viking possa tornare in mare per salvare uomini, donne e bambini. Le legittime preoccupazioni per la salute pubblica poste dalla gestione del coronavirus non possono essere una giustificazione per impedire i soccorsi. A terra come in mare, la priorità è salvare vite”.
Gli fa eco Giorgia Linardi, portavoce della Sea Watch: “Il personale sanitario Usmaf è salito a bordo e abbiamo messo a disposizione il nostro team di 5 medici. L’equipaggio è in salute. Ci chiediamo quale sia la finalità di questa misura che ci impedisce di riprendere le nostre operazioni, lasciando un Mediterraneo privo di assetti di ricerca e soccorso”.
Della stessa idea Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea Saving Humans, che afferma: “A differenza di tutte le altre navi commerciali che continuano indisturbate i loro viaggi e relativi sbarchi, peraltro, nelle navi delle Ong ci sono medici e precauzioni sanitarie molto rigide. Fermarle è solo pregiudizio che si fa prassi approfittando di un momento di shock collettivo per non perdere un’altra occasione di criminalizzare chi soccorre in mare i profughi di guerra. E quel mare, intanto, resta vuoto ancora una volta. Ancora una volta le navi della salvezza sono incatenate alle banchine mentre la gente annega. Aggiungete anche quei morti, nelle stime delle vittime del contagio”.

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