Storia di Giovanni, morto di lavoro in Sicilia perché sognava di restare a vivere nella sua terra
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Storia di Giovanni, morto di lavoro in Sicilia perché sognava di restare a vivere nella sua terra

La terra è buona e generosa se qualcuno la lavora. E questo era il cruccio di Giovanni, 21 anni, Nanny per gli amici e per la sua giovanissima fidanzata.

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Onofrio Dispenza Modifica articolo

30 Gennaio 2020 - 10.20


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Un mattino, dopo aver versato anche le lacrime più amare di mamma, Cristina si è seduta davanti al computer del suo Giovanni, l’ha aperto e ha scritto a tutti noi: “Vorrei dire che non si può continuare a morire per lavori svolti senza le più elementari condizioni di sicurezza. Bisogna urlarlo forte. Alle istituzioni, ai politici, agli imprenditori: svegliatevi. Il mio piccolo uomo non meritava quella fine e adesso non può diventare l’ennesimo numero di una statistica che cresce ogni giorno di più”.
Custonaci, qui la Sicilia è continuamente carezzata dal vento, il paese guarda un mare straordinario ed ha alle spalle profonde cave di pietra.
La terra è buona e generosa se qualcuno la lavora. E questo era il cruccio di Giovanni, 21 anni, Nanny per gli amici e per la sua giovanissima fidanzata. Con lei aveva dei progetti; idee che partivano dalla convinzione che il futuro può costruirsi qui, senza andare lontano. Anzi, si ha il diritto di costruirlo qui. Cristina, la mamma di Giovanni ha voluto raccontare del figlio, un pò per riportarlo in vita tenendo in vita le idee del figlio perduto. Giovanni è morto per dieci euro, un lavoro che pensava facile, a pochi metri da casa, potare un pino. Gli è stato fatale un ramo che l’ha ucciso. Conosco bene il sogno di Giovanni, lo condivido con mio figlio, restare in questa terra “riempirla di alberi e di fiori”, come ha raccontato mamma Cristina in una intervista a Repubblica. Giovanni ne aveva parlato anche con la sua ragazza: “Apro una partita Iva, comincio così, vedrai che ci costruiamo qui il nostro futuro…”. Nanny era un poeta, si un poeta perchè ridava vita alla terra abbandonata e regalata al degrado da politiche scellerate e suicvide. Sul suo profilo, quasi un diario di coraggiosa speranza, scriveva “Sicilia, terra di meraviglie, ma di poche speranze…”.
E col suo lavoro e con la sua “folle” caparbietà cercava di dare acqua alle speranze, perchè crescessero, perchè non si seccassero. Poi, quel maledetto mattino della morte, col ramo dell’albero che viene giù e lo ammazza, indifeso. Prima di andare al lavoro, la colazione con mamma Cristina, il padre e il fratello. Loro pizzaioli senza lavoro, la mamma in perenne attesa di una chiamata al lavoro, lei che è invalida e che ha perso un occhio per un tumore.
E Giovanni, sempre ad incoraggiarli, anche quel mattino. Progettava il proprio futuro con la ragazza e rassicurava la famiglia: “A voi ci penso io, state sereni…”. Un bacio e via. Via per sempre. Quella l’ultima volta che Cristina lo ha visto vivo. Poi, una telefonata la corsa, la speranza che fosse un incidente rimediabile, e invece, eccolo lì Giovanni, senza vita e con la testa e il viso segnati dal rosso del sangue. Di sangue intrisa pure la terra che era nel cuore di Nanny. Fine di un figlio, di un sogno, di sogni comuni, difficili ma belli perchè duri da costruire.

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