È morto Giampaolo Pansa: una vita di giornalismo, tra successi e polemiche
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È morto Giampaolo Pansa: una vita di giornalismo, tra successi e polemiche

Mario Calabresi, vecchio direttore di Repubblica, ha invitato a ricordarlo per essere stato un 'grande maestro di come si raccontano le cose', più che per le sue polemiche. 

Giampaolo Pansa
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13 Gennaio 2020 - 08.15


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È morto a 84 anni il giornalista Giampaolo Pansa, uno dei più grandi cronisti italiani della scuola maturata tra gli anni ’60 e ’80, quelli che videro il Paese passare da un boom economico a un altro attraversando la sanguinosa stagione del terrorismo. Anni che Pansa raccontò sulle più grandi testate nazionali, diventando uno dei cronisti più apprezzati della sua generazione. E Mario Calabresi, vecchio direttore di Repubblica, ha invitato a ricordarlo per essere stato un ‘grande maestro di come si raccontano le cose’, più che per le sue polemiche. 
E di polemiche nella sua vita ce ne sono state tante: il suo debutto avviene nel 1961 su La Stampa, con un celebre servizio sulla tragedia del Vajont. Al giornale di Torino sarebbe tornato nel ’69 dopo una parentesi quadriennale al Giorno di Italo Pietra, per poi passare nel ’72 al Messaggero nel ruolo di caporedattore. È solo l’inizio di un lungo cursus honorum.
Nel 1973 lo troviamo al Corriere di Ottone, dove scriverà insieme a Scardocchia l’inchiesta che portò alla luce il caso Lockheed. Nel 1977 passa a Repubblica, sempre nel ruolo di inviato speciale, per poi diventare vicedirettore. È però sui settimanali dove offre il meglio di sè negli anni della maturità, quando quella penna da narratore – così abile nel tratteggiare volti e ambienti – si intinge divertita nel vetriolo e tratteggia spietati bozzetti dei politici più in auge senza risparmiare nessuno, da Bettino Craxi, definito “Mitterrand della Bovisa” a Fausto Bertinotti, “Parolaio Rosso”. Prima su Panorama e poi su L’Espresso, il suo “Bestiario” è una delle rubriche più seguite della stampa italiana. 
Suo bersaglio erano a volte anche i colleghi. Uno dei titoli più celebri della sua fitta produzione libraria è “Comprati e venduti. I giornali e il potere negli anni ’70”. Ancor più famoso è un articolo del 1980, “Il giornalista dimezzato”, nel quale fustigava l’ipocrisia di chi “cedeva metà della propria professionalità al partito all’ideologia che gli era cara e voleva comunque servire anche facendo il mestiere”. 
I nemici veri Pansa se li fa però quando, in vecchiaia, riprende un argomento che conosceva in modo approfondito sin dagli anni dell’università, quando si laureò con una tesi sulla “Guerra partigiana tra Genova e il Po”. “Il sangue dei vinti”, uscito nel 2003, è un autentico best seller ma lo rende bersaglio di innumerevoli attacchi, che troveranno risposta in un ulteriore volume, “I guardiani della memoria”. L’arrivo della destra post-missina al governo aveva avviato un timido discorso pubblico su tanti “morti di serie B” che tali non erano per migliaia di famiglie italiane. Pansa apre però il discorso da sinistra, da antifascista, e in molti non glielo perdonano. Uno degli ultimi grandi cronisti politici della vecchia scuola degli anni di piombo diventa per tutti “Pansa il revisionista”. 
Nel 2008 lascia il gruppo L’Espresso, del quale non condivide più la linea editoriale. Passa per il Riformista e poi per Libero (dove porta con sè il ” Bestiario”), La Verità, Panorama e Tpi, per poi chiudere il cerchio con un ultimo passaggio a via Solferino. E proprio “Ritorno a Solferino” è il titolo della sua ultima rubrica. L’ultima polemica proprio con gli ex Msi, ai quali era stato accusato di essere contiguo, per un articolo sull’Almirante che, pur avendo avuto due mogli, si era schierato contro il divorzio.

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