La storia di Noura, scappata dalla Libia perché lesbica
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La storia di Noura, scappata dalla Libia perché lesbica

All'agenzia Dire racconta la sua storia: "In Libia la situazione per gli omosessuali è difficile"

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19 Dicembre 2019 - 08.49


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In fuga dalla Libia, per scappare dalla guerra, ma soprattutto per essere libera di vivere il suo amore con la compagna, per fuggire dallo stigma. È la storia di Noura, rifugiata originaria del Paese del nord Africa. All’agenzia Dire racconta il suo passato:  “Ho dovuto lasciare la Libia perché c’è la guerra, ma soprattutto perché sono lesbica e con la mia compagna volevamo vivere insieme. Così siamo venute in Italia, e sei mesi fa ci siamo finalmente sposate”. 

Il suo è un nome di fantasia, una precauzione per evitare problemi a sé e a sua moglie: “In libia la situazione per gli omosessuali è difficile”, spiega ancora la donna, con una carriera da docente di storia dell’arte presso l’università di zawiya, sulla costa occidentale del paese, alle spalle.
La professoressa, che oggi fa la cameriera a Milano, si sta ricostruendo una vita grazie al sostegno di lesbiche senza frontiere (lsf), una delle associazioni che hanno aderito al programma partecipazione di intersos, finanziato dall’agenzia onu per i rifugiati (unhcr), per favorire l’inclusione di migranti e rifugiati nel nostro paese.
“Quando io e la mia compagna siamo arrivate, non riuscivamo a capire una parola” prosegue Noura. “Neanche le leggi sono chiare quindi è stata una grande fortuna avere qualcuno che ci aiutasse, non solo traducendo le informazioni ma anche spiegandoci come funzionano le cose”. Grazie a lesbiche senza frontiere, assicura la donna, “abbiamo trovato anche una nuova, grande famiglia”.
In libia, gli esponenti della comunità lgbt+ non hanno vita facile: come denunciano le organizzazioni per i diritti umani, oltre alle discriminazioni, il rischio è di subire violenze da parte dei gruppi armati ribelli che abbracciano il fondamentalismo islamico.
Ma per i rifugiati omosessuali i problemi non finiscono neanche nei paesi di accoglienza, come spiega ancora alla Dire Helen Ibry di Lesbiche senza frontiere: “Nella maggior parte dei casi non possono fare riferimento alla loro comunità di origine” denuncia la responsabile, che prosegue: “nei centri di accoglienza si sono registrati anche vari casi di aggressione. Una soluzione sarebbe quella di creare, accanto alle stanze per uomini e donne, anche quelle riservate a gay, lesbiche e transessuali. Noi di lesbiche senza frontiere- aggiunge Ibry- oltre a fornire corsi di lingua o alfabetizzazione informatica, diamo a queste donne degli spazi dove possono esprimersi liberamente, condividendo esperienze e creando nuovi rapporti, per non sentirsi più sole”.
L’associazione, vincendo il bando del programma partecipazione, ha ottenuto i soldi necessari per aumentare l’informazione tra le rifugiate lesbiche, che spesso si ritrovano a vivere una condizione di particolare esclusione. Grazie ai fondi ottenuti poi “stiamo finendo di mappare i servizi offerti a migranti e rifugiati a milano e provincia”. Due i criteri rispettati: “Alle ragazze abbiamo chiesto di valutare il personale e il servizio offerto, ad esempio indicando quanto gli impiegati sono stati gentili, consapevoli delle loro necessità ed efficienti. Inoltre, devono riferire quali servizi tengono conto delle esigenze della comunità Lgbt+”.

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