San Ferdinando dalle baracche alle tende. I sindacati: "Sull'integrazione un fallimento"

A due settimane dallo sgombero della baraccopoli di San Ferdinando, la giunta di Reggio Calabria non ha ancora offerto un'alternativa dignitosa di accoglienza che non riguardi le tende: è quanto denuncia Minniti

San Ferdinando
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21 Marzo 2019 - 14.06


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Chiudere la baraccopoli di San Ferdinando in Calabria è stata una “cosa buona”, ma “è possibile che ancora oggi non si riesca ad andare oltre le tende?”.
A due settimane dall’elezione a nuovo segretario generale della Flai Cgil, Giovanni Mininni, torna sullo sgombero realizzato a ridosso della sua elezione nella Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria.
Un’azione che la Flai chiedeva da tempo e che diventa anche l’occasione per fare un bilancio sulla lotta al caporalato in Italia e le nuove sfide che il neoeletto segretario generale Flai intende affrontare col suo mandato. 
La chiusura dell’insediamento è stato un vero e proprio evento mediatico: circa 600 gli uomini in campo, tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e operatori sanitari per trasferire più di un migliaio di lavoratori, tra la tendopoli allestita dalla Regione e gestita da Comune e Prefettura, e Cas in altre regioni italiane. 
A chiedere di mettere un punto alla lunga storia della baraccopoli, anche i sindacati, con una manifestazione unitaria organizzata dalle tre sigle Flai, Fai e Uila a Reggio Calabria a fine febbraio.
“La baraccopoli di cartone e plastica che esponeva le persone a continui rischi di incendio è stata distrutta: è una cosa buona – spiega Mininni -. La domanda che ci facciamo, però, è questa: è possibile che non si riesca a seguire l’esempio di Lecce dove sono stati realizzati dei container, oppure del foggiano dove oggi ci sono tre centri di accoglienza o a Saluzzo dove il sindaco ha messo a disposizione una caserma abbandonata? È possibile che in altri parti d’Italia si comincia a fare qualche passo in avanti, pur non raggiungendo un livello ottimale, gestendo l’accoglienza ad un livello più dignitoso e invece il prefetto di Reggio Calabria non sappia pensare ad altro che non siano tende?”
Oggi, nella tendopoli “ufficiale”, le condizioni di vita non sono paragonabili all’accoglienza sperimentata, anche se non senza difficoltà, in Puglia e in Piemonte.
“La tenda non dà dignità – continua Mininni -. I campi non sono illuminati. Continua a non esserci la corrente elettrica e c’è una precarietà dovuta ad una situazione che emergenza non è”. Le sole tende non bastano, senza contare che l’ipotesi di veder rinascere la baraccopoli esattamente dov’era non è remota.
“Lo sgombero è stato facile – spiega Mininni -. Molti lavoratori erano già andati via perché la campagna di raccolta degli agrumi è finita. Ma non ci si può fermare solo a questo. Si rischia che sia una risposta che non guarda al futuro. Se la Regione non si muove a predisporre moduli abitativi o una accoglienza diffusa, più volte annunciata e mai attuata, ci troveremo nel mese di settembre e ottobre di fronte al fatto che risorgerà una baraccopoli. I lavoratori torneranno perché ci sarà offerta di lavoro”.
Secondo Mininni, infatti, i numeri attuali dei lavoratori nella Piana non sono quelli del periodo della raccolta. “Tra tendopoli e insediamenti – specifica Mininni – si arrivava a circa 3 mila persone”.
Il segretario generale della Flai Cgil punta il dito contro la Regione, guidata da “una giunta di centro-sinistra che sta finendo il proprio mandato e che ha segnato un chiaro ed evidente fallimento sulle politiche dell’accoglienza e dell’integrazione dei lavoratori agricoli nella zona di Rosarno. Non sono stati capaci di fare neanche una piccolissima azione concreta”. 
Il caso San Ferdinando, inoltre, rischia di riaprire il dibattito sulla legge contro il caporalato. Le difficoltà sono note. A partire dallo scarso successo della Rete del lavoro agricolo di qualità, istituito nella passata legislatura, ma ancora non decollata. Diverse le ragioni, tra cui “l’ostruzionismo dell’Inps – spiega Mininni – perché vorrebbe scaricare le proprie responsabilità previste con chiarezza dalla legge 199 del 2016 ai prefetti sui vari territori e questa cosa ha bloccato di fatto il lavoro della cabina di regia”.
Servirebbero meccanismi premianti per favorire l’iscrizione delle aziende alla rete. Come accaduto, ad esempio, in Emilia Romagna o al Comune di Roma. “Non può essere il solito sgravio fiscale – spiega Mininni -, anche perché le imprese godono già di ampie misure di sgravi contributivi e fiscali. Esiste un meccanismo più economico, ovvero quello applicato in Emilia Romagna, dove è stato previsto un punteggio aggiuntivo per le imprese agricole che risultano iscritte alla rete del lavoro agricolo di qualità e che vogliono partecipare ai bandi del Piano di sviluppo rurale. Due anni fa c’è stata un’esplosione di iscrizioni”. 
Buone pratiche non mancano neanche in altri territori, come in Sicilia, dove al Centro per l’impiego di Castelvetrano, competente per l’area di Campobello di Mazara (dove c’è un’altra tendopoli che arriva anche a punte di 2 mila persone), si sta sperimentando con successo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. 
Esperimenti che spesso non hanno vita facile e che a volte rischiano di morire sul nascere. Come nel caso di Foggia, dove il Commissario Straordinario, prefetto Rolli aveva avviato una buona pratica sul fronte dei trasporti.
“Grazie al prefetto si era pensato di fornire furgoni presi in leasing col fondo Fami, ma il problema si è creato nel momento in cui Confagricoltura, Coldiretti e Cia di Foggia dovevano dare i nomi delle imprese dove portare i lavoratori – spiega Mininni -. Non è stato fatto il nome di un’impresa. Non abbiamo trovato l’utilizzatore finale, ovvero il datore di lavoro disponibile ad accogliere questi lavoratori”.
E l’esperienza, per ora può dirsi conclusa, visto che il prefetto che l’aveva pensata è stato trasferito a Macerata. “Il nuovo prefetto di Foggia ha azzerato tutto – spiega Mininni – e al momento la sezione territoriale di Foggia non riesce a produrre altro che inutili riunioni e chiacchiere”.
In un quadro così complesso, però, per Mininni c’è qualche “elemento di fiducia”. Ovvero l’istituzione di tavoli sul caporalato col mandato di verificare sul campo, in tre anni, la validità del testo di legge in questione.
ù“È una cosa positiva – spiega Mininni – perché ci può dare la possibilità di capire cosa non sta funzionando, senza agire immediatamente su un aspetto che per noi rimane centrale, ovvero quello di considerare la responsabilità dell’imprenditore. Alcune cose previste dalla legge non stanno funzionando. I tavoli ci permetteranno, se necessario, di agire in maniera chirurgica sulla possibilità di manutenzione della legge, ma fra tre anni”.
Per Mininni, i tavoli potrebbero creare la “spinta necessaria” per avere qualche effetto sui territori. “I tavoli ci danno questa opportunità e noi forniremo notizie dettagliate alle istituzioni presenti in quei tavoli sperando che si possa intervenire sui territori. È un’opportunità”. Per il suo mandato, però, Mininni annuncia di voler andare a fondo non solo sul fronte caporalato.
“In continuità col mandato di Ivana Galli – chiosa il neoeletto segretario -, mi spenderò tanto sull’allargare lo sguardo sullo sfruttamento dei lavoratori anche in altri settori, non solo l’agricoltura, seguendo la filiera agroalimentare. La Flai nei prossimi anni sarà molto attenta a seguire la filiera dello sfruttamento e sui fenomeni che stanno inquinando il mondo della produzione industriale”. 
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