L'ex questore: "con il taser Aldrovandi sarebbe ancora vivo". Il taser andava usato su chi lo ha ammazzato
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L'ex questore: "con il taser Aldrovandi sarebbe ancora vivo". Il taser andava usato su chi lo ha ammazzato

Antonio Sbordone parla del 18enne di Ferrara che morì durante un controllo di polizia: "quel ragazzo andava fermato". I genitori di Federico: "andava usato su chi lo stava uccidendo"

Federico Aldrovandi
Federico Aldrovandi
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14 Settembre 2018 - 12.32


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Federico Aldrovandi, se ci fosse stato il taser, sarebbe ancora vivo. E’ la convinzione, che ha già sollevato immediate reazioni, di Antonio Sbordone, questore di Reggio Emilia, già a capo della polizia ferrarese, a proposito dello studente 18enne di Ferrara che il 25 settembre 2005 morì durante un controllo di polizia. Per quella morte quattro agenti sono stati condannati per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi a tre anni e sei mesi (ma tre anni furono condonati).
Il questore di Reggio Emilia, una delle città scelte per la sperimentazione del taser, la pistola elettrica che, nei giorni scorsi, è stata usata per la prima volta, è tornato a parlare del caso di Federico Aldrovandi in un’intervista al Resto del Carlino.
“Io ho visto – ha detto il questore Sbordone – cosa è accaduto a Ferrara dopo il caso Aldrovandi, anche se non ero io il questore presente quell’anno. Questo ragazzo, se ci fosse stato il taser, sarebbe ancora vivo. Per fermare un giovane alto un metro e 90 agitatissimo hanno dovuto usare anche i manganelli”.
La replica dei genitori di Federico Aldrovandi e del legale della famiglia.
Non si è fatta attendere la replica di Lino Aldrovandi, il padre di Federico, alle parole del questore Sbordone. “Mi viene da pensare – ha detto parlando con Repubblica – che quella maledetta mattina il taser non sarebbe stato da usare da Federico, ma su chi lo stava uccidendo senza una ragione. Federico era già a terra e chiedeva aiuto. Io so che gli hanno spezzato il cuore e che lui non li ha nemmeno toccati, come testimoniò una donna nel processo, e che il procuratore generale della Cassazione li definì ‘schegge impazzite in preda a delirio'”.
“Ogni volta è una ferita di sangue innocente che si riapre in tutta la sua devastante realtà. Federico quella mattina non aveva commesso alcun reato e nulla di male, non so perché gli abbiano fatto tutto quel male, ma l’hanno fatto e lui ce l’ha raccontato con il suo cuore spezzato di 18 anni. Forse qualcuno sarebbe meglio si andasse a rileggere quanto ormai si è scritto processualmente dall’ottobre del 2007 (inizio del primo grado di giudizio) fino al giugno del 2012 (sentenza definitiva di condanna) e forse capirebbe. Di un fatto grave dove la stessa polizia indagò su sé stessa creando quasi un corto circuito”.
“Federico è morto – ha detto la madre Patrizia Moretti – perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e dargli calci in testa quando era già stato immobilizzato e chiedeva aiuto. Mi dispiace che si possa giustificare uno strumento così pericoloso con un paragone che non ha senso”.
Netta anche la replica di Fabio Anselmo, il legale che ha accompagnato la famiglia Aldrovandi lungo i tre gradi di giudizio. “Il questore Sbordone – ha affermato Anselmo – con le parole pronunciate ammette che Federico è morto di violenza, un’ammissione nuova, fatta finora solo dall’ex capo della polizia Manganelli che chiese scusa alla famiglia. E’ morto di violenza, come dicono le sentenze passate in giudicato. Inoltre l’affermazione che Federico andasse fermato mi lascia perplesso. Le sentenze parlano”.

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