Così la mafia ha appoggiato Forza Italia e Berlusconi fin dal 1994

La requisitoria del pm nel processo che si è trasformato in un atto d'accusa contro il connubio tra l'ex Cavaliere, Del'Utri e i boss

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21 Aprile 2018 - 15.08


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Alla fine del 1993 il boss mafioso  Leoluca Bagarella, cognato del capomafia Totò Riina, “sa della discesa in campo di Silvio Berlusconi per le politiche del 1994 e decide  dirottare il suo sostegno a Forza Italia, e di fatto decide di dare  sostegno a Marcello Dell’Utri attraverso i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Così, lascia perdere il Movimento ‘Sicilia Libera’ che aveva fondato e di fatto confluisce in Forza Italia”. 
Queste sono state le parole del pm  Francesco Del Bene nel corso della requisitoria nel processo sulla  trattativa tra Stato e mafia. Del Bene ha citato cita alcune frasi tratte dalla sentenza definitiva  del processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di  Marcello Dell’Utri che sta scontando una condanna a sette anni. “La  Cassazione ci dice che tra Cosa nostra e Berlusconi e Dell’Utri il  rapporto era paritario” e ribadisce che “Dell’Utri era un nuovo  autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra”.
Gli agganci potenti con esponenti politici li avevano i fratelli  Graviano”, boss del mandamento di Brancaccio a Palermo. “Erano loro che si occupavano di  politica per risolve e i problemi di Cosa nostra, come la legislazione sui collaboratori di giustizia – spiega – Questa affermazione di  Cannella che si colloca con quella di Gaspare Spatuzza in merito alle  confidenze nell’autunno 1993 di Giuseppe Graviano. Che in quella  circostanza gli disse: ‘C’è in piedi una situazione che, se andrà a  buon fine, ci permetterà di avere tutti i benefici.
“Il collaboratore Cannella ha riferito anche che 15  giorni prima della scadenza per la presentazione delle liste  elettorali per le politiche del 1994 – prosegue il pm Del Bene – si  rivolse a Leoluca Bagarella per avere la possibilità di inserire un  candidato del suo movimento ‘Sicilia Libera’ nel Polo delle Libertà.  Bagarella gli disse che lo avrebbe messo in grado contattare un  soggetto per l’inserimento di un candidato per il Pdl. La persona che  avrebbe incontrato era Vittorio Mangano”, lo ‘stalliere di Arcore’,  oggi deceduto.   
Gli attentati di Cosa nostra alla Standa  di Catania, che all’epoca era di proprietà di Silvio Berlusconi.  Secondo l’accusa gli attentati intimidatori sarebbero cessati solo  dopo un accordo tra Cosa nostra e Berlusconi, “attraverso  l’intermediazione di Marcello dell’Utri”. E cita alcune dichiarazioni  di collaboratori di giustizia.
“I boss puntarono all’intimidazione, per poi raggiungere il patto”, disse il magistrato nella  requisitoria, citando proprio gli attentati alla Standa di Catania del 1990-91: ”Il pentito Malvagna ci ha raccontato che scese un alto  dirigente Fininvest per risolvere la questione”. Era Dell’Utri, ha  detto un altro pentito, Maurizio Avola, e avrebbe incontrato il  capomafia Nitto Santapaola.
“Per il boss Totò Riina Berlusconi era una persona inaffidabile mentre Marcello dell’Utri era una persona seria che ha mantenuto la sua parola”. “Alla fine del 1993 Marcello Dell’Utri si è reso disponibile a veicolare il messaggio intimidatorio per conto di Cosa nostra, cioè fermare le bombe in cambio di norme per l’attenuazione del regime carcerario. Ciò è avvenuto quando un nuovo governo si era appena formato, nel marzo del 1994, con la nomina di Silvio Berlusconi alla carica di presidente del Consiglio”. Dell’Utri, imputato nel processo per minaccia a corpo politico dello Stato “aveva un potere ricattatorio su Berlusconi per effetto dei rapporti pregressi”.

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