Malata e incinta, muore dopo essere stata respinta al confine della Francia

La terribile storia di Destinity, non aveva ottenuto l'asilo in Italia e cercava di raggiungere la sorella. Deceduta dopo il parto.

Destinity aveva 31 anni, veniva dalla Nigeria
Destinity aveva 31 anni, veniva dalla Nigeria
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23 Marzo 2018 - 20.50


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Si chiamava Destinity. Era nigeriana, aveva 31 anni, ed era incinta. Le avevamo diagnosticato un grave linfoma, che le impediva di respirare e persino di muoversi agilmente. Sapeva che non ce l’avrebbe fatta, ma voleva dare una possibilità a suo figlio ancora non nato. Per questo, insieme al marito, con cui aveva fatto una richiesta d’asilo in Italia e aveva trovato un lavoro, poi perso dopo la scoperta della malattia, Destinity ha cercato la notte del 9 febbraio di attraversare il confine con la Francia per raggiungere la sorella. Era al settimo mese di gravidanza.

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Le autorità francesi l’hanno trovata e rispedita in Italia. L’hanno abbandonata, insieme al marito davanti alla stazione di Bardonecchia, in piena notte. Non l’hanno aiutata, pur essendo evidente che la donna era incinta e gravemente malata. 

Destinity è rimasta ricoverata all’ospedale Sant’Anna di Torino per un mese, per consentirle di portare avanti la gravidanza quanto più possibile. Le sue condizioni erano disperate, sapevano tutti che lei non ce l’avrebbe fatta. È morta giovedì scorso, dando alla luce Israel: il bambino, prematuro di un mese, pesa appena 900 grammi, ma i medici dicono che stia bene. 

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“I francesi hanno dimenticato cosa vuol dire umanità” accusa Paolo Narcisi, presidente dell’associazione Rainbow4Africa, che da dicembre ha aiutato un migliaio di migranti. Questa storia terribile segue quella di Benoit Duclos, la guida alpina che rischia il carcere per aver salvato una donna, anche lei incinta. Sono le conseguenze del cosìdetto ‘reato di solidarietà’, che se diventasse legge abolirebbe ciò che rimane dell’umanità in Europa. 

Tra i medici del Sant’Anna è scattata una gara di solidarietà per stringersi intorno a Israel e a suo padre: “non dobbiamo avere paura di aprirci all’accoglienza” dice Narcisi, “perché un giorno potrebbe toccare a noi”.

 

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