Baobab ricorda la storia di Maslax: espulso dal Belgio e morto suicida a Pomezia

Dopo essere sopravvissuto ai lager libici era riuscito a riabbracciare la sorella. Ma fu rispedito in mezzo a una strada in Italia in nome della cieca burocrazia europea

Maslax
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15 Marzo 2018 - 16.15


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Baobab – come i lettori di Globalist già sanno – è un’associazione romana che si occupa con grande professionalità e molta umanità dell’accoglienza e dell’aiuto a rifugiati e richiedenti asilo in transito per la Capitale.

Un lavoro importante, nonostante i pochi aiuti e, ultimamente, le minacce di fascisti e razzisti.

Oggi, sulla sua pagina Facebook, Baobab ha raccontato la storia di un ragazzo che non ce l’ha fatta. Solo, disperato, senza più una speranza di futuro.
Un ragazzo che si è tolto la vita, mentre l’Italia xenofoba alimentava l’odio verso gli stranieri parlando di telefonini, scarpe firmate e hotel a 5 stelle.

Riprendiamo la storia di Maslax cos’ì come l’ha raccontata Baobab nella speranza che a qualcuno venga un sussulto di umanità e rifletta qualche minuto prima di condannare

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Maslax se ne è andato un anno fa. Era il 15 marzo 2017 quando si tolse la vita in un parco di Pomezia, poco lontano dal Centro di Accoglienza Straordinario (CAS) a cui era stato assegnato dopo essere stato espulso dal Belgio e rimandato in Italia. Quel CAS è un vero e proprio parcheggio per donne e uomini appena arrivati in Italia. 
Un tetto, un letto e l’accoglienza è servita. Nessuna mediazione linguistica, nessun aiuto legale, nessun percorso di inserimento sociale, e purtroppo non parliamo di un caso isolato.
Non abbiamo mai smesso di pensare a Maslax, non abbiamo mai superato il trauma del suo gesto. Il suo nome oggi è quello del nostro presidio dietro la stazione Tiburtina; la sua storia è ciò che ci dà la forza per continuare ed andare avanti nonostante le mille difficoltà.
Lo dobbiamo a tanti, ma principalmente a lui.
Maslax è morto in Europa, a causa dell’Europa. Maslax è morto di burocrazia, protocolli, carte bollate. Maslax è morto perché nei palazzi dove si ratificano le leggi molte volte seguendo solo logiche di accordi e scambi, nessuno vuole pensare quali effetti strazieranno i corpi e le anime di chi le subirà.
Dopo cinque anni aveva riabbracciato la sorella in Belgio. Dopo essere scappato dalla fame, dopo essere sopravvissuto ai trafficanti, alle torture in Libia, alla traversata del mare. Dopo essere stato identificato e schedato, aver passato due mesi in strada a Roma, pensava di aver finito di pagare il conto col suo destino beffardo che lo ha fatto nascere nella parte “sbagliata” del mondo. Invece no, doveva ancora essere strappato dall’abbraccio di una sorella e rimandato indietro, perché in europa, nell’europa dell’umanesimo, della democrazia, della civiltà millenaria, nell’europa colonizzatrice ed esportatrice di progresso, non puoi stare vicino ai tuoi cari se sei appena arrivato. Devi fermarti almeno 5 anni nel primo posto dove sei approdato. Lo dice una carta, si chiama “Regolamento di Dublino” e niente a che fare con Joyce, le epifanie e le cene di Natale della borghesia europea. 
Il “Regolamento di Dublino” è probabilmente la legge più stupida e nociva in materia di migrazione, in vigore nell’Unione Europea. Se ne discute solo tra gli addetti ai lavori, per un semplice motivo: non riguarda i cittadini comunitari, non riguarda gli elettori. Poco importa, quindi, studiarne anche le conseguenze, tenere conto dei suicidi e delle patologie psicologiche e psichiatriche che causa. Il “Regolamento di Dublino” non è una legge per le persone, è uno strumento di scambio tra gli stati della UE. Le modifiche che sono state apportate nel corso degli anni, sono state effettuate sulla volontà di regolare i flussi interni dei migranti, con l’obiettivo di modificare cifre, cambiare percentuali, rivendicare impegni nei consessi istituzionali. Mai è stato affrontato pensando a quello che accade alle donne e agli uomini che ne sono investiti e che nella quasi totalità dei casi non ne conoscono nemmeno l’esistenza fino al giorno in cui stravolge le loro vite.
Negli ultimi mesi è aumentato in maniera esponenziale il numero di migranti rimandati in Italia da altri paesi europei a causa del regolamento di Dublino. I “dublinati” diciamo noi per distinguerli da chi è appena arrivato. Li vediamo arrivare ogni giorno al presidio: dalla Svezia, dalla Svizzera, dalla Germania. 
Come M., curdo e invalido, espulso dalla Danimarca mentre era in cura in un ospedale e rimandato in Italia senza che fosse garantito un passaggio di consegne con una struttura sanitaria nel nostro paese. Ha dormito nel nostro presidio sotto la neve, prendendosi una polmonite per il freddo. Non cammina, si muove con estrema difficoltà appoggiandosi a due stampelle;
O come H. che non parla molto bene perché un commando dell’ISIS è entrato nell’ospedale in Libia in cui lui operava come infermiere volontario e lo ha quasi ucciso con un taglio alla gola. E’ una vittima dell’ISIS ed è arrivato in Europa per scappare dall’orrore insieme alla sua famiglia con 4 figli. Invece, dopo 1 anno e tre mesi in Svezia in cui si erano perfettamente inseriti nel tessuto sociale, trovando lavoro e scuola, sono stati mandati indietro in Italia la notte dopo l’attentato a Charlie Hebdo. Parigi dista da Stoccolma quasi 2.000 km; H. e la sua famiglia sono incensurati. Ma questo poco importa quando c’è un regolamento da applicare.
Volevamo parlare di Maslax, ricordare il suo sorriso, il suo sogno di arrivare un giorno negli Stati Uniti, la sua volontà di essere parte attiva nella comunità del presidio. Invece siamo finiti a parlare di burocrazia. Questo dovrebbe essere motivo di riflessione per tutti. Per noi, sicuramente è il motivo a non indietreggiare di un passo, per un’accoglienza più giusta,
per un’ Europa più giusta e umana.

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