L'ultima cavalcata di Johnny lo zingaro senza piani e senza complici

Ipotesi sulla straba fuga di un ergastolano che godeva di molti privilegi nonostante il suo curriculum criminale

Giuseppe Mastini detto Johnny lo zingaro
Giuseppe Mastini detto Johnny lo zingaro
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David Grieco Modifica articolo

2 Luglio 2017 - 17.37


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Come tutti i giornali, cerchiamo di seguire in tempo reale la fuga di Johnny lo Zingaro, ergastolano pluriomicida che pur potendo uscire a piacimento dal carcere in cui si trovava, venerdì sera ha deciso inaspettatamente di tagliare la corda.
Abbiamo già raccontato che Johnny lo Zingaro, pur avendo ucciso anche uomini in divisa, ha potuto quasi sempre godere di una segregazione alquanto privilegiata (assoluzioni discutibili, evasioni facili, permessi generosi, qualifica di “collaboratore di giustizia” mai motivata, fino al regime di semilibertà), perché deve aver agito più di una volta come sicario agli ordini di persone probabilmente più altolocate delle comuni forze dell’ordine.
Abbiamo anche rivelato che Antonio Pinna, un altro uccel di bosco (scomparso da ben 41 anni e dichiarato morto da 37) ora si è rifatto vivo per accusare proprio Johnny lo Zingaro di aver ucciso Pier Paolo Pasolini mettendosi al volante della sua (sua di Pinna) Alfa GT praticamente identica a quella dello scrittore atrocemente assassinato nella notte tra il primo e il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia.
Come Globalist, tutti i giornali stanno seguendo in diretta questa fuga, e tutti abbiamo scritto che se Johnny lo Zingaro si è dato alla fuga nonostante i privilegi di cui godeva, ha sicuramente un piano preordinato e dei complici efficienti.
Direi che abbiamo sbagliato.
Ricapitoliamo.
Johnny lo Zingaro si è dato alla fuga venerdì mattina dalla stazione di Fossano, dove avrebbe dovuto prendere il treno per Cairo Montenotte, dove andava tutti i giorni a lavorare (a fare le pulizie) presso la Scuola Penitenziaria. Invece di prendere il treno, Johnny ha preso un taxi. Le telecamere di controllo ovviamente presenti dentro e fuori la stazione hanno registrato la sua partenza. Se fosse stato un piano preordinato, Johnny avrebbe dovuto uscire dalla stazione e andare a prendere un taxi altrove, lontano dalle telecamere. Oppure, se avesse avuto un complice, questi lo avrebbe potuto attendere al volante di un’auto qualsiasi in una strada secondaria e poco frequentata della cittadina in provincia di Cuneo.
Johnny lo Zingaro ha chiesto di essere portato a Genova, che dista 140 chilometri. Ha pattuito il prezzo e all’arrivo ha consegnato al tassista 400 euro in contanti. Nessuno stupore. Johnny lavora, prende giustamente un modesto stipendio. Può facilmente risparmiare soldi perché vivendo in carcere non ha spese. A bordo del taxi, Johnny non ha telefonato a nessuno e si è goduto il viaggio chiacchierando con il tassista per quasi due ore. “Abbiamo parlato di tutto, specialmente di macchine. Gli piaceva molto la mia Mercedes”. Hanno fantasticato anche di vacanze, di spiagge e di località balneari, elencando quelle più inquinate e quelle meno. Poi Johnny ha chiesto di poter ascoltare della musica per rendere ancora più piacevole il viaggio. “Non sembrava proprio un delinquente, anzi. Era un signore molto educato, dai modi gentili. Averne di clienti così. Una persona squisita”.
Johnny lo Zingaro si è fatto portare alla stazione di Genova Brignole, dove è stato nuovamente immortalare dalle telecamere. Poi se ne sono perse le tracce. Questo accadeva a mezzogiorno di venerdì. È stato considerato ufficialmente evaso solo alle 19 e 30, perché questo prevede la legge. Nel lasso di tempo fra mezzogiorno e le 19,30, la polizia ha cominciato ad attivarsi, e alle 17 circa la notizia della probabile evasione di Johnny lo Zingaro ha cominciato a circolare vertiginosamente nelle redazioni dei giornali.
Johnny lo Zingaro, si è appena scoperto, aveva anche una fidanzata. Una donna dell’Est residente a Fossano. Per ora questa donna non è apparsa lungo l’itinerario della fuga e niente lascia presumere che possa raggiungerlo da qualche parte. Visto che si è voluto muovere finora senza prendere alcuna precauzione, Johnny avrebbe potuto darle appuntamento già alla stazione di Fossano.
Questo evaso che si muove in solitudine di stazione in stazione senza far caso alle telecamere lascia pensare che questa sia l’ultima cavalcata solitaria di Johnny lo Zingaro.
Sembra l’epilogo della sua vita di assassino nato.
Il suo unico scopo non può che essere la vendetta. “Una volta fuori, vorrei vendicarmi di questa società che mi ha maltrattato”, disse nel 2014 a un compagno di cella. Sono cose che forse si dicono in momenti di rabbia. Ma se a pronunciare simili parole è Johnny lo Zingaro, vanno attentamente considerate. Il compagno di cella infatti riferì a chi di dovere quest’affermazione, che si può trovare persino su Wikipedia. Eppure Johnny lo Zingaro fino a venerdì è uscito tutti i giorni dal carcere come un qualsiasi cittadino incensurato esce di casa.
Dove può essere diretto questo viaggiatore così speciale?
La sua destinazione obbligata non può che essere Roma, dove ha vissuto un’infanzia feroce in strada, da piccolo zingaro vittima di offese razziste, impugnando una pistola a soli 11 anni per sparare a chiunque, anche alla polizia. Ora tutti i quotidiani e le agenzie della capitale segnalano come probabile questa eventualità.
E chi può essere il bersaglio della sua vendetta?
La lista è lunga, lunghissima. In quella lista ci siamo anche noi. Ma Johnny è in guerra col mondo da quando è nato. Ieri, un vecchio picchiatore fascista grosso come due armadi ha riferito che un giorno lo ha riempito di botte e lo ha lasciato esanime in una pozza di sangue. “Quello lo puoi solo ammazzare”, ha detto concludendo il racconto. Eppure, anche Johnny lo Zingaro è cresciuto e ha vissuto negli ambienti neofascisti romani.
Non ci resta che sperare che Johnny lo Zingaro non ammazzi nessuno e che nessuno ammazzi lui. Se lui è assetato di vendetta, noi non possiamo e non dobbiamo esserlo. Noi vogliamo assolutamente sapere ciò che ha da dire, sul Delitto Pasolini e su vari altri episodi oscuri della sua storia, che è la storia del nostro paese e appartiene a tutti noi senza alcuna distinzione.
Purtroppo, però, la tecnologia a cui è ormai affidata la nostra sicurezza è del tutto inefficace. Abbiamo delegato a milioni di telecamere tutte le nostre precauzioni, così come abbiamo delegato ai display dei telefoni tutte le nostre relazioni. Non abbiamo più occhi, non abbiamo più voce.
Un ricercato si può trovare soltanto grazie a una delazione. Quando tutti conoscevano tutti, a un poliziotto bastava chiedere in giro se qualcuno aveva visto o sentito qualcosa di strano. Oggi un eventuale delatore deve uscire di casa, farsi vedere mentre si reca a un posto di polizia, riferire ciò che ha visto o sentito ed essere creduto, e infine sperare che orecchie indiscrete di passaggio non abbiano ascoltato ciò che è andato a rivelare alla polizia.
Quanti sono disposti a fare questo?
Lo abbiamo purtroppo sperimentato tante volte con il terrorismo. Le telecamere e la tecnologia possono darci soltanto in un secondo tempo tutti i dettagli di ciò che è accaduto. Si possono fare delle straordinarie, spettacolari ricostruzioni. Ma soltanto dopo. Quando il fuggiasco continua a fuggire, quando l’assassino ha ucciso ancora.
In definitiva, la tecnologia sembra essere il mezzo più lento in assoluto per combattere il crimine.
Strano a dirsi, vero?

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