Gli italiani che hanno fatto la Francia: l'omaggio a Parigi

La mostra nasce dalla necessità di ricordare quello che è stato uno dei più importanti movimenti migratori nel Paese.

Yves Montand
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31 Marzo 2017 - 10.21


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Oggi, anche a Parigi,  si riconosce il ruolo importante di quegli italiani che “hanno fatto la Francia”, con una mostra – “Ciao Italia!” – dedicata all’immigrazione dall’Italia, particolarmente importante in un momento nel quale la questione dei migranti e di nuovo estremamente alta nelle agende internazionali.

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La mostra nasce dalla necessità di “ricordare quello che è stato uno dei più importanti movimenti migratori in Francia”, con milioni di persone arrivate tra il 1860 e il 1960, spiega Stephane Mourlane, commissrio scientifico dell’esposizione.

Anche quella non è stata affatto una migrazione facile, per quanto oggi sia “un po’ dimenticata” o persino “idealizzata”, spiega Mourlane. Gli italiani in Francia, infatti, furono oggetto di sospetti, discriminazioni e violenze xenofobe.

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L’esposizione, organizzata dal Museo dell’Immigrazione a Parigi, s’apre con gli scontri di Aigues-Mortes nel 1893, nei quali ci furono nove morti e 50 feriti. Allora l’immigrazione italiana veniva descritta come un'”invasione”.

Furono tanti nel tempo i motivi che spinsero gli italiani ad attraversare le Alpi: crisi economica, fascismo. All’inizio degli anni ’30 gli italiani in Francia erano certamente circa un milione, cioè il 7 per cento dell apopolazione. Nelle sale del museo sono esposte carte, estratti di film, foto, oggetti d’epoca.

I nomi d’italiani francesizzati sono tanti e, talvolta, la loro italianità è stata a lungo misconosciuta. Maurice Garin, il vincitore del primo Tour de France nel 1903, aveva avuto la nazionalità italiana fino a due anni prima. Ma nessuno per anni l’ha saputo.

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Non era facile essere italiano in Francia. Si lavorava, e duramente. Lavoravano anche i bambini, impiegati come vetrai, venditori di statuette, lucidatori (“petits cireurs napolitains”). Lazzaro Ponticelli, entrato nella storia nel 2008 alla sua morte a 110 anni come l’ultimo dei soldati francesi nella prima guerra mondiale, iniziò a lavorare come pastore a quattro anni, per poi diventare un simbolo dell’imprenditorialità italiana in Francia.

Nella cultura, poi, l’apporto dato dagli italiani è stato fondamentale. Alla mostra i curiosi potranno vedere l’atto di naturalizzazione della famiglia Livi, dalla quale è uscito uno dei simboli del cinema e della canzone transalpina: Yves Montand. O possono ascoltare la voce di Serge Reggiani che canta “L’Italien”. Potranno vedere il costume da clown dello storico circo Fratellini. Altri potranno ricordare che la Simca, storico marchio francese dell’auto, è stata fondata nel 1934 da Enrico Teodoro Pignozzi, non da un Dupont o da un Garnier.

Il percorso si conclude con un estratto della “Dolce vita”, il film di Federico Fellini del 1960, quando la Francia s’innamoroò del’italianità.

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Questa mostra, in un momento in cui i flussi migratori dal sud del mondo suscitano grande apprensione, segnala secondo Mourlane che “gli italiani non pongono più un problema perché un’altra popolazione entra in scena”. Il flusso di italiani ha rappresentato un modello per quanto sta accadendo ora. E una speranza.

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