La resistenza No Tav e il concorso morale di laureande e nonne col bastone
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La resistenza No Tav e il concorso morale di laureande e nonne col bastone

Considerazioni sul pugno di ferro della magistratura contro i No Tav con i capelli bianchi e il cuore coraggioso. Con dedica a Carmine.

Marisa Meyer, No Tav pericolosissima col bastone
Marisa Meyer, No Tav pericolosissima col bastone
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Antonio Cipriani Modifica articolo

23 Giugno 2016 - 18.28


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Mi chiedo che Paese sia il nostro, in cui si possono dare condanne alla reclusione, restrizioni giudiziarie e arresti domiciliari per “concorso morale” nella vicenda No Tav. Concorso morale, che in una giustizia emergenziale, quindi in una non-giustizia, vuol dire che uno non commette veri e propri reati, ma la pensa come qualcuno che presumibilmente li commette. Non ci trovate una stranezza in tutto questo?
Io penso alla giovane laureanda della Ca’ Foscari, Roberta Chiroli, condannata a due mesi di reclusione per aver fatto la sua tesi di antropologia sul movimento No Tav in Val Susa. Per averla fatta sul campo e non scopiazzandola su internet da casa. Per aver usato nella sua esposizione accademica il “noi partecipativo” interpretato dai giudici come una confessione, evidentemente.
Penso a Nicoletta Dosio, leader storica del movimento, insegnante di italiano e latino, pensionata di 68 anni che nei giorni scorsi in una chiarissima dichiarazione video ha detto che lei non accetterà di dover firmare dai carabinieri, né farà della sua casa una prigione. “Che sia chiaro, io non accetto di andare a chiedere tutti giorni a chiedere scusa ai Carabinieri, non accetterò che la mia casa divenga la mia prigione. Quindi decidano loro, tanto la nostra lotta è forte, lottiamo per diritto di tutti a vivere bene. Lottiamo non solo per la nostra valle, ma per un mondo vivibile è più giusto. Noi non abbiamo paura, non ci inginocchiamo: quindi io a firmare non ci vado, e non rimango nemmeno chiusa in casa. Siamo nati liberi e uguali, e liberi e uguali rimaniamo”.
Marisa, No Tav col bastone. Mentre ascolto la voce di questa piccola donna che lotta contro la Grande Opera Inutile, contro lo spreco di risorse che ci priva di scuole e ospedali e nel contempo distrugge la Valle, mi passa davanti agli occhi la foto di Marisa Meyer, 70 anni, con la sua maglia con sopra scritto: “Non ci ruberete il futuro, No Tav”. Ha i capelli bianchi e il sorriso mentre esce dalla caserma dei carabinieri appoggiandosi a un bastone. A voi non pare una valutazione un po’ ferrea del codice penale? Queste anziane signore vivono in Valle, si battono per la Valle e lì restano: come si può ragionevolmente pensare che possano scappare? Hanno scritto i 99Posse su Facebook: “”Solo un paese malato impone l’obbligo di firma ad una signora di 70 anni solo perché è un’attivista #notav. Signora Marisa noi siamo con te!” . Secondo l’accusa del pm Antonio Rinaudo era fu un furgone No Tav come supporto logistico. Ma la donna, questa la tesi difensiva, era a bordo  perché aveva chiesto un passaggio dopo la manifestazione, per i suoi problemi di deambulazione.
Lo trovo incomprensibile. Come tante cose a dire il vero in questa storia penosa di un’Italia prepotente e di una filosofia economica dello spreco di denaro della collettività per creare profitti altissimi per pochi e distruzione ambientale, sociale, culturale, per gli altri. Scrive Maurizio Pagliassotti sul Manifesto: “Questa volta l’affondo giudiziario tocca una dimensione simbolica potente del movimento: gli anziani. Il mosaico umano che compone i quaranta chilometri della Val Susa che si oppongono alla costruzione della ferrovia per il super treno, riconosce la sacralità dei suoi vecchi. Perché sono coloro che da sempre più si espongono, perché non hanno indietreggiato di un passo durante la ventennale lotta, perché hanno sempre curato gli aspetti logistici e umani con dedizione certosina”. Anche questo fa riflettere. E fa discutere il tempismo: una valanga di arresti per un episodio vecchio di lievissimo conto. Racconta Pagliassotti della manifestazione di un anno fa a Chiomonte: “Alcuni manifestanti raggiunsero i cancelli della centrale elettrica, punto di controllo e accesso presidiato costantemente dai militari, e qui furono respinti da un fitto lancio di lacrimogeni”. Secondo la magistratura i manifestanti avrebbero lanciato sassi, attaccato funi ed esploso ordigni, che sarebbero fumogeni colorati e petardi, manco le bombe carta dello stadio. “ I capi di imputazione sono: resistenza aggravata, lesioni personali ed esplosioni di ordigni con la finalità di turbare l’ordine pubblico”.  Il cantiere non subì alcun danno.
Quello che mi fa rabbia è pensare a quanto la politica a sinistra e i media abbiano perso la loro capacità di creare un minimo di equilibrio tra gli interessi preponderanti del profitto e quelli più deboli dei cittadini. E che in questo meccanismo inaccettabile, in certi momenti è proprio l’idea di una legalità ottusa che mette inquietudine. Possiamo accettare la distruzione dei nostri territori e del futuro dei nostri figli in silenzio? E opporsi vale la galera? Una vetrina imbrattata costa 7 anni di carcere, come se un oggetto di proprietà di una multinazionale avesse nella nostra società un valore più alto di un bimbo che muore di fame. Di un sistema messo in ginocchio dalla corruzione e dalla mafia. Dell’alzare muri in faccia a chi ha meno, in difesa dell’arroganza di chi possiede il superfluo. 
La Valle, poi la Valle va percorsa. Con le persone bisogna parlare, ascoltarle. I giornali fantozziani continuano a raccontare questa storia di popolo con le interviste anonime al black bloc di turno, Repubblica-style. Belle sane interviste al Chissà Chi travisato (per usare un linguaggio amato dai carabinieri e dai cronisti che riportano le loro veline). Fonti anonime quando non sono fonti a senso unico che provengono dagli inquirenti.
Qualche tempo fa io e Valentina Montisci siamo andati in Valle (non è stata la prima e unica volta, ovviamente), ma questa volta l’abbiamo fatto per ricordare un amico che era scomparso. Un ribelle della montagna, vero. Si chiamava Carmine. E oggi che rifletto ancora su questa vicenda, riporto a seguire il nostro scritto.
 
Saranno state mille bandiere. Una per ogni palo della luce, per ogni balcone e orto. Tutte al vento, sbiadite dal tempo, con sopra scritto No Tav. Mille belle bandiere contro il cielo, a costeggiare la strada che scende dalla Val Susa verso Torino: Bussoleno, San Giorio, Sant’Antonino di Susa, Chiusa di San Michele. Uno sventolare corale, di popolo e ribellione. Di disobbedienza di fronte a troppa obbedienza, di azione e presa di coscienza di un territorio di fronte all’assalto militare dei più forti, dei più ricchi, degli inarrestabili.
Percorrendo queste strade di resistenza, dopo esserci lasciati alle spalle lo Chaberton, il Forte di Exilles, immersi nel verde boscoso totale ho pensato a quel disobbediente del nostro amico che non c’è più. Carmine, con quella faccia bella da brigante, il sorriso da prendiperilculo e la dolcezza ruvida che aveva nel cuore e nell’amicizia. Insieme dovevamo salire in cima ai suoi monti, sul Pollino, e spalancare le porte, dipingere meravigliose opere collettive, disegnare orizzonti nuovi, ipotizzare altri sentieri da percorrere, difendere l’essenza della bellezza e del coraggio. E poi una spaghettata – quello sempre – nel rito bello del farsi compagni e dell’alzare i bicchieri di vino rosso al futuro, alla grandezza, al profumo di timo e lavanda. Pensando a una comunità di azioni, artistiche, politiche, sociali. Di narrazioni attraversando i mondi, a passo lento, di confini che si sciolgono come neve a primavera perché germoglino sapienze comuni, capaci di arrivare da qualunque posto e di farsi voce e bandiera di un territorio. Di più territori, in uno scambio di bellezza e coscienza.
Mentre il sole tramonta, la Valle si stringe in caseggiati sempre più fitti: vedo le bandiere lise, sdrucite, qualcuna strappata. Sono stracci poveri e solenni. Orgogliosi. Come le nostre idee di rivolta, caro Carmine. Solenni e semplici. Senza orpelli o finzioni. Capaci di camminare tra la gente, di alzare la polvere al passaggio, di porsi mille domande e non accendere mai una risposta già scritta. Ed è difficile, faticoso. Ma sappiamo (l’abbiamo sempre saputo) che continueremo a farlo: a scrivere quello che ci piace scrivere senza chiedersi se ci conviene, perché sappiamo che questo è chiaro da sempre: non ci conviene, non ci è mai convenuto. E se siamo qui con i nostri stracci di libertà, arte e ribellione è proprio perché così è e sarà.
Alziamo il calice a questa nostra memoria fertile di futuro. E a te, anarchico disobbediente artigiano sofisticato brigante. E a tutti noi che abbiamo avuto il dono di conoscerti”.

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