Migranti nel limbo del Cara, aspettando la relocation

Una giornata passata al Cara di Castelnuovo di Porto: 844 ospiti, 570 dei quali hanno aderito al programma di “relocation”.

Migranti, ospiti al Cara di Castelnuovo di Porto
Migranti, ospiti al Cara di Castelnuovo di Porto
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22 Giugno 2016 - 14.47


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di Eleonora Camilli

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“Aspetta” è una delle pochissime parole che Mohamed sa in italiano. Quando la pronuncia, la sua faccia si riempie di rabbia, perché se la sente ripetere ormai da settimane. Ma lui ad aspettare non ce la fa più: da sei mesi vive nel Cara di Castelnuovo di Porto, appena fuori Roma, dopo essere sbarcato a dicembre a Cagliari e aver fatto il viaggio terribile dall’Eritrea alla Libia. Spera di andare in Svezia, glielo hanno promesso quando ha lasciato le sue impronte digitali nell’hotspot e compilato il modulo per la relocation: il sistema che prevede la distribuzione dei richiedenti asilo nei diversi paesi dell’Unione. Ma da allora non sa più niente. Che sia la Svezia la sua destinazione, ora gli dicono che non è più sicuro, quanto ci vorrà, dove andrà sono tutti interrogativi che non trovano risposta. Come non sa niente del suo futuro Jacob, anche lui eritreo: quando sono arrivati al Cara da Lampedusa lui e sua moglie hanno scoperto che presto avranno un bambino. Vorrebbero farlo nascere in un altro paese, magari la Germania, ma anche davanti a loro c’è solo attesa e rabbia. Jacob e sua moglie, condividono la stanza con un’altra coppia che ha un bimbo di appena un anno. Come nuclei familiari dovrebbero avere la priorità nelle partenza (rientrano nei cosiddetti soggetti vulnerabili) ma da dicembre sono bloccati in un limbo. A Lampedusa, insieme ad altri migranti, avevano dato vita anche a una protesta per non lasciare le proprie impronte digitali in Italia, ma poi proprio con la promessa di poter staccare il biglietto per il trasferimento nel paese desiderato hanno compilato il modulo per il programma europeo. Ma da allora poco o nulla si è mosso.

“Aspetta” è una delle pochissime parole che Mohamed sa in italiano. Quando la pronuncia, la sua faccia si riempie di rabbia, perché se la sente ripetere ormai da settimane. Ma lui ad aspettare non ce la fa più: da sei mesi vive nel Cara di Castelnuovo di Porto, appena fuori Roma, dopo essere sbarcato a dicembre a Cagliari e aver fatto il viaggio terribile dall’Eritrea alla Libia. Spera di andare in Svezia, glielo hanno promesso quando ha lasciato le sue impronte digitali nell’hotspot e compilato il modulo per la relocation: il sistema che prevede la distribuzione dei richiedenti asilo nei diversi paesi dell’Unione. Ma da allora non sa più niente. Che sia la Svezia la sua destinazione, ora gli dicono che non è più sicuro, quanto ci vorrà, dove andrà sono tutti interrogativi che non trovano risposta. Come non sa niente del suo futuro Jacob, anche lui eritreo: quando sono arrivati al Cara da Lampedusa lui e sua moglie hanno scoperto che presto avranno un bambino. Vorrebbero farlo nascere in un altro paese, magari la Germania, ma anche davanti a loro c’è solo attesa e rabbia. Jacob e sua moglie, condividono la stanza con un’altra coppia che ha un bimbo di appena un anno. Come nuclei familiari dovrebbero avere la priorità nelle partenza (rientrano nei cosiddetti soggetti vulnerabili) ma da dicembre sono bloccati in un limbo. A Lampedusa, insieme ad altri migranti, avevano dato vita anche a una protesta per non lasciare le proprie impronte digitali in Italia, ma poi proprio con la promessa di poter staccare il biglietto per il trasferimento nel paese desiderato hanno compilato il modulo per il programma europeo. Ma da allora poco o nulla si è mosso.

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La loro storia è simile a tanti altri richiedenti asilo che incontriamo nel centro alle porte di Roma (alcuni nomi dei richiedenti asilo da noi avvicinati sono nomi di fantasia), nella prima tappa della mobilitazione nazionale di LasciateciEntrare: che dal 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato, ha deciso di monitorare, tappa dopo tappa, la condizione dei migranti nei diversi centri sul territorio italiano. In particolare, il Cara di Castelnuovo di Porto sta diventando un vero e proprio centro nazionale per i destinatari di relocation: degli 844 attuali ospiti, 570 (la maggior parte) ha aderito al programma. Gli altri sono richiedenti asilo o ricorrenti (persone che hanno ottenuto un diniego e hanno fatto ricorso). C’è anche un caso Dublino, un ragazzo respinto in Italia dalla Svizzera. Negli ultimi tempi sono frequenti i trasferimenti di alcuni di loro negli Sprar (centri per la seconda accoglienza) ma anche in alcuni Cas (centri per l’accoglienza straordinaria) perché l’ordine dal ministero è quello di liberare posti per quelli che accettano di essere “ricollocati” in Europa. Programma che, però, per ora resta lungamente disatteso.

 

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Nelle bacheche lungo i corridoi del centro sono disposti i depliant del ministero dell’Interno (in inglese e in arabo): dicono che i soggetti vulnerabili, nuclei con bambini, minori non accompagnati, donne incinte, disabili, devono avere la precedenza. Dicono ai migranti di collaborare nel rilascio delle impronte (“you must cooperate with this procedure”) e che i tempi della procedure sono di circa due mesi. Ma la realtà dei fatti è molto diversa: i paesi stentano a mettere a disposizione i posti e, cosa ben peggiore, in pochi vogliono le donne con i bambini. Per questo Jacob, sua moglie, e la coppia che divide con loro la stanza stanno da mesi ancora aspettando. Altri ragazzi arrivati con loro da Lampedusa sono stati già ricollocati. Alcuni hanno avuto la fortuna di arrivare nel paese desiderato, Germania, Olanda, Svezia, altri temono la destinazione in paesi come Portogallo o Romania, dove non hanno parenti né amici. Il manifesto del ministero dice, infatti anche un’altra cosa: che il paese non può essere scelto, “no, it is no possible to choose the country to wich you are relocated”, si legge. “Eppure ci avevano detto un’altra cosa – sbotta Joseph – altrimenti non avremmo mai lasciato le impronte. Ci hanno convinto con l’inganno, ci hanno detto lascia le impronte e ti mandiamo dove vuoi. Altri li hanno costretti con la forza. Ma non è così, non sappiamo dove ci mandano. Io ho mio fratello e la mia fidanzata in Olanda. Loro hanno già fatto domanda d’asilo lì, vorrei ricongiungermi con loro, ma nessuno mi sa dire se sarà possibile. Se mi mandano in Portogallo che faccio? Non conosco nessuno lì. La cosa peggiore è che te lo dicono anche il giorno prima, con poco preavviso: prendere o lasciare”.

Da settembre, spiega Akram Zubaydi, il presidente di Auxilium, la cooperativa che gestisce il Cara di Castelnuovo di Porto, “le persone ricollocate da questo centro sono circa 500. Sono state trasferite in diversi paesi: Spagna, Portogallo, Cipro, Svezia. All’arrivo i richiedenti esprimono una preferenza ma molto dipende dalle quote messe a disposizione– precisa – non sempre possono andare nel paese desiderato”. A occuparsi della procedura sono i funzionari Easo – precisa il viceprefetto Roberto Leone – insieme al ministero dell’Interno, che “vengono qui a fare l’informativa”.

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Nel centro degli 844 presenti, 661 sono uomini, 157 donne, e 26 minori anche molto piccoli (di pochi mesi o un anno) tutti accompagnati. La maggior parte sono eritrei: 537, ma ci sono anche 44 persone del Mali, 39 del Pakistan, 35 senegalesi e 11 siriani. Alcune persone stanno qui da quasi due anni: come due ragazzi del Senegal che hanno ottenuto il diniego e ora hanno fatto un ricorso: “E’ un anno e 8 mesi che siamo qui – raccontano – non ne possiamo più”. Ma la maggior parte sono in attesa di trasferimento in mete pressoché sconosciute. “Questo è un limbo dopo l’inferno: c’è una situazione di indeterminatezza assoluta – sottolinea Eleonora Forenza, europarlamentare , che ha partecipato alla visita con la delegazione di LasciateciEntrare -. I tempi lunghi per le relocation e la mancata possibilità di scelta dei paesi dove andare sono due delle principali contraddizioni che abbiamo rilevato. Non solo, ci sono donne qui che hanno subito violenze, soprattutto quelle passate dalla Libia: per loro servirebbe una corsia preferenziale, ma questo stenta ad essere riconosciuto”.

 

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La mobilitazione nazionale di LasciateciEntrare continuerà nei prossimi giorni: l’obiettivo è visitare, con attivisti e giornalisti, 65 centri in tutta Italia, tra Cie, Cara e Cas (negli hotspot è stato rifiutato l’accesso). “Vogliamo cercare di far luce sulla situazione dei migranti che sono nei centri e sulle tante criticità del sistema – spiega Gabriella Guido, portavoce della campagna -. La visita a Castelnuovo di Porto ci ha permesso di capire come sta funzionando il sistema di relocation: questa finta opportunità di scegliere il paese di destinazione è emersa con chiarezza. O si va nel paese a cui si è destinati o si esce dal sistema e si rimane bloccati in Italia. Questo sistema temiamo che porterà i migranti ad aderire, arrivare nel paese non scelto e  poi provare a raggiungere altre mete in maniera purtroppo illegale e illegittima”.

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