Come in Montalbano: in Sicilia ammazzano i cani degli Dei

Due stragi di cani in Sicilia, avvelenati dalle polpette: a Palermo e alla Valle dei Templi di Agrigento, dove sono stati uccisi i cani degli dei [Onofrio Dispenza]

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10 Marzo 2016 - 18.49


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di Onofrio Dispenza

Potrebbe essere raccontata così: l’acqua del mare piatta, come quella della vasca da bagno che aveva dovuto riempire. Il Comune, almeno, aveva avuto il buon senso di avvisare: oggi e domani niente acqua nelle case, fate scorta. Due rotture, la prima alla rete dell’acquedotto, l’altra dei cabbasisi. Vallo a spiegare a Livia che la vasca piena d’acqua non era per suicidarsi… Mare piatto, dunque giornata di sbarchi, pensò Montalbano, provando ad impupare il lavoro che l’aspettava. Almeno non pioveva, l’aveva fatto per giorni in un marzo che si era vestito d’inverno, dopo aver scambiato i vistiti con l’inverno che aveva fatto fiorire i mandorli a Natale. Squillò il telefono: “Buongiorno, signor Commissario, Catarella sono!”. ” Che c’è, Catarella?”. “Mi scusassi, Commissario, ci furono omicidi…” “Omicidi? Più di uno? A chi hanno sparato?”.”Nonsi, Commissario, non furono sparati, ma avvelenati”. “Avvelenati? Chi?”. “Non sono cristiani…” “E cu sunnu, Catarella? Non giochiamo agli indovinelli, che già sono incazzato di mio…” “Cani, signor Commissario, cani…Una strage”.

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In terra di Montalbano, va bene iniziare così per raccontare di due piccole vicende, analoghe, l’una a distanza poco più di cento pesanti chilometri dall’altra, ma nella stessa isola, la Sicilia del commissario.

Due stragi di cani, con polpette avvelenate. La prima, nella Vigata di Montalbano, o meglio, nella Valle dei Templi che guarda alla Vigata letteraria; la seconda in una delle borgate più belle, popolari di Palermo, l’Arenella, affacciata sul mare, all’ombra dei cantieri navali e della Villa Igiea dei Florio, di re, regine, zar, passioni, complotti e di tant’altre storie. Ci vorrebbe Montalbano per dare un volto e un nome a chi ha fatto strage dei cani degli Dei nella Valle dei Templi, e un volto e un nome alla mano gemella che ha sparso polpette avvelenate all’Arenella. Sì, i cani degli Dei, erano conosciuti così i randagi della Valle dei Templi. Conosciuti da tanti, da tanti carezzati, fotografati, e perché no, anche invidiati. Loro, a girare il giorno – il più delle volte al sole – tra frotte di turisti generosi in uno dei luoghi più incantevoli del mondo, e la notte a farsi compagnia al riparo che non manca, tra i resti dell’antica Akragas.

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Chi ha potuto volerne la morte? Perché? In un tempo di crudeltà immense, anche questa piccola crudeltà. La città ha quasi considerato sacrilego quel che è accaduto tra i templi. Ci sono state una manifestazione e una fiaccolata, per denunciare l’accaduto e chiedere che si vigili sui cani rimasti nella Valle. Da Agrigento a Palermo. Qui, all’Arenella, la gente della borgata è riuscita a salvarne qualcuno dei cani sotto attacco delle polpette assassine. Volontari si sono fatti in quattro per strapparli alla morte e farli curare. Ora hanno organizzato delle ronde notturne per scoraggiare chi volesse tornare ad uccidere i randagi.

Da Vigata, un amico mi racconta di una ricerca storica appena fatta sull’antica Akragas. Si racconta che un uomo malvagio, senza Dei e “schiffaratu” un giorno prese di mira un piccolo branco di randagi a guardia di un tempio, quello conosciuto come il Tempio della Concordia. Provò ad avvelenarli, ma non ci riuscì perché gli dei dal cielo riuscirono a fermarlo, a storcergli il braccio, a fargli spalancare la bocca ficcandogli l’impasto mortale direttamente nel cannarozzo, in gola. Morì, il maledetto, tra atroci dolori, e vomitando sangue. Ancora oggi, ogni notte quell’anima persa pare che si aggiri, disperato, tra i resti dei templi inseguito dai randagi che voleva avvelenare.

“Dice vero, Commissario?”. “‘Gna certo, Catarella! Certo, fallo sapere in giro, e parti dal bar…”.
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