Storia del Sor G.

Anche al milanese Giorgio Gaber, il Signor G., la storia del Sor G., classe '39, sarebbe piaciuta: perché ci inorgoglisce come italiani, facendoci anche un po’ vergognare.

Storia del Sor G.
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24 Settembre 2015 - 12.45


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di Cesare Gigli

Siamo abbastanza certi che a Giorgio Gaber, il Signor G. che amiamo e rimpiangiamo, milanese doc che ha magnificamente descritto le isterie ed i fallimenti della sua generazione, questa storia sarebbe piaciuta, e non solo perché, seppur romano, parliamo di un altro Signor G, anzi vista la città di un Sor G. (l’iniziale del suo cognome), classe ’39 come lui, ma perché è una storia bella, che – vedrete – ci inorgoglisce come italiani, facendoci anche un po’ vergognare di alcuni nostri atteggiamenti qualunquistici.

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Il Sor G. ha una lunga e soddisfacente storia lavorativa alle spalle e, arrivato alla pensione, ha deciso di rendersi utile alla società ripulendo in maniera volontaria il quartiere in cui vive. E’ facile incontrarlo la sera dopo il tramonto, come è capitato a noi, mentre ripulisce un muro dalle erbacce, toglie l’immondizia dalla strada, o dipinge i lampioni di una via. Ed è forse ancora più significativo che il quartiere in questione (La Montagnola, stretta sul lato sinistro della Colombo tra L’Ardeatina e la Laurentina) sia popolare senza pretese di signorilità snob. Un quartiere tra i meno noti a Roma, e che si è fino adesso salvato da caos ed immigrazione incontrollata. Ma che, come purtroppo gran parte della città, è lentamente avviato verso un degrado che è non solo estetico (anche se per Roma questa è una ferita profonda), ma che rende sempre più difficile il vivere quotidiano degli abitanti.

“Ho deciso di cominciare a fare da solo per ripulire il quartiere, perché mi sono accorto con dolore che non c’è più una cosa pubblica sentita da tutti. E’ in queste condizioni che l’impunità trova terreno fertile. Nessun organismo pubblico ormai reagisce più a denunce di inefficienze, guasti alle infrastrutture, vandalismi. Ed allora comincio io. Ho le forze, la volontà e le idee per farlo. La mia formazione di scout e le mie – fino ad ora – convinzioni politiche mi hanno portato ad iniziare tale attività. Guardi la, ad esempio.” E indica una scritta sul muro di un condominio, francamente brutta fatta da chissà chi durante la notte. “Non è un graffito artistico, che va rispettato, è una scritta senza senso, oltretutto in Inglese per dimostrare non si sa bene cosa e che deturpa il palazzo. Denunciare, o protestare, è inutile. Ed allora ci lavoro io. Sono partito da solo, ora siamo un gruppo”

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E’ determinato, il Sor G, nel raccontare queste cose col suo piacevolissimo accento romanesco (non romanaccio) mentre si ferma e si accende una sigaretta. Ed è questa determinazione che ha attirato altre persone. E’ l’embrione, abbiamo la sensazione, di quello spirito di comunità che, se mai è stato presente in Italia, ormai è quasi completamente scomparso. Ed è il Sor G che ci da fiducia su quel “quasi”. Ha iniziato con un muro che contiene una collinetta. Un muro che, se opportunamente curato, poteva diventare un bel simbolo del quartiere e che invece, dopo averci piantato un’edera utile solo a sgretolarlo lentamente, è stato lasciato in balia di se stesso. E da li è nata l’idea di organizzare il gruppo, che ha anche una sua identità virtuale su Facebook, che continua indefesso, e noncurante dell’indifferenza delle istituzioni, la sua “missione”.

“Questa sera ripuliremo una delle rotonde più grandi del quartiere – continua – non solo è piena di rifiuti ed erbacce, ma – nascosto sotto questo cumulo di spazzatura – c’è anche un ramo di un albero che potrebbe ferire qualche bambino che si trovasse a correre in quel luogo. E tutto questo viene completamente snobbato da chi invece avrebbe il dovere di organizzare questo tipo di attività, senza attendere i volontari. Nell’ultimo incontro un importante rappresentante delle Istituzioni, oltre a fare delle promesse fino ad ora non mantenute, ha liquidato queste iniziative come “scoutismo ricreativo”, quasi fosse un balocco per poveri anziani che si devono inventare cosa fare per passare il tempo. E’ stato francamente imbarazzante.”

Di nuovo, torna l’idea della cosa pubblica gestita come se fosse di tutti – e quindi nostra – e non come se non fosse di nessuno, sostituendosi a chi questa idea dovrebbe averla ben presente, per il ruolo che ricopre nella comunità. Una cosa pubblica che diventa più bella – anche esteticamente – e che migliora anche l’ambiente sociale. “Mi sono accorto che nei luoghi dove siamo passati sporcano di meno – sorride – e poi tutta la comunità ne trae giovamento. Uno spazzino che mi ha visto lavorare è alla fine venuto ad aiutarmi. Se ho bisogno di alcuni materiali per il mio lavoro ho la ferramenta del quartiere che me li vende a prezzi scontati, sapendo l’uso che ne faccio. Se i condomini della zona mi chiedono un aiuto io sono ben felice di darlo, facendomi rimborsare il solo costo dei materiali, che come ho detto pago pochissimo. Partecipiamo così alla vita di questo quartiere”.

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Ecco partecipare. Una parola bellissima, che tanti di noi, compreso chi scrive, molto spesso tende a dimenticare non avendo questo tipo di esempi. E che il nostro Sor G. arriva, con la sua iniziativa a ricordarci. E non serve un testimonial famoso per questo (“L’abbiamo invitato, ma non si è fatto vivo” dice con un’indifferenza che cela a nostro modo di vedere l’idea che per un personaggio famoso iniziative del genere siano solo pubblicità), ma l’esempio di ognuno di noi. Si è liberi perché si può partecipare alla vita della comunità, e, partecipando, ci si rende più liberi.

E torniamo, alla fine, al Signor G. milanese, che cantava “La Libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone; la Libertà non è uno spazio libero, Libertà è partecipazione”. Si, questa storia gli sarebbe piaciuto moltissimo, ne siamo certi.

Se sia giusto che a fare lavori per cui le istituzioni sono pagate con le nostre tasse debbano essere i volontari è materia controversa, ed una risposta certa probabilmente non si avrà mai. Di sicuro, però la comunità ne ha bisogno. Se ne ricordino, i politici, del Sor G. e del suo gruppo di volontari quando decidono sulla cosa pubblica. Perché ad oggi sono loro per primi quelli che devono riconquistare.

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