Affondare i barconi non fermerà i migranti

Intervista al cardinale di Agrigento, appena rinominato presidente di Caritas Italiana: l’Europa si deve spendere di più, anche con le ginocchia sbucciate.

Affondare i barconi non fermerà i migranti
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26 Maggio 2015 - 14.31


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Rispondere, con tutti gli strumenti a disposizione, a tutte le povertà sociali nello stile Caritas, affiancandoci al cittadino o migrante che soffre, senza sostituirsi allo Stato e all’Europa. È con questo spirito che il cardinale di Agrigento Franco Montenegro riprende la presidenza della Caritas italiana, ruolo che aveva ricoperto in passato, dal 2003 al 2008.

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Non è la prima volta che viene chiamato alla guida di Caritas italiana. Oggi cosa è cambiato?

La società in questi anni è cambiata e non certo verso il meglio. Le povertà aumentano: ci sono le vecchie povertà che sono diventate nuove, le nuove che si rifanno alle vecchie. Ci ritroviamo sempre a percorrere la stessa strada con grande spirito di servizio e in maniera sempre più impegnativa. Tutte le Caritas del nostro territorio, oggi, cercano di rispondere come possono ai bisogni più emergenti delle famiglie e delle persone che soffrono. Una risposta deve essere data a tutti, a prescindere dalla razza e dal colore della pelle, italiano o straniero che sia.

L’immigrazione per la Caritas continuerà ad essere un tema rilevante?

Credo che questo tema ci accompagnerà sempre perché è un fenomeno ormai strutturale e non più un’emergenza. Il fatto che ci siano dei popoli che si stanno spostando da un continente all’altro si inserisce sicuramente nella storia del mondo che va cambiando a livello finanziario, sociale e religioso. E’ chiaro che, davanti ad un fenomeno così ampio, non possiamo certamente chiudere gli occhi perché non è attivandosi per bucare i barconi o con altre soluzioni affrettate che si possono bloccare gli arrivi dei migranti. Ormai è arrivato il momento di puntare molto più seriamente all’integrazione, che non significa assimilazione. Dobbiamo essere capaci di affrontare con maggiore coraggio il futuro insieme agli altri.

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Cosa pensa delle proposte europee che in questo momento sono in discussione in tema d’immigrazione?

Se vogliamo guardare e partecipare alla costruzione di un mondo globalizzato l’egoismo non è certo il motore giusto. È vero che ci troviamo tutti in difficoltà, però è proprio nella difficoltà e davanti alla storia che incalza che non possiamo soltanto dire ‘non ci interessa’. Occorre che tutta l’Europa entri in campo, spendendosi in prima persona anche con le ginocchia sbucciate perché è la storia che ce lo chiede.

L’Italia, e in particolare la Sicilia come prima terra di approdo, ha cercato anche con fatica di dare risposte all’arrivo dei migranti. In che modo si può migliorare il sistema di accoglienza attuale?

Sicuramente se l’Europa deciderà di aprirsi con misure idonee, già la situazione dell’accoglienza siciliana e nazionale potrà essere migliorata. Il fatto che, fino a adesso, l’Italia sia stata l’unico paese preposto alla prima accoglienza, ha creato delle situazioni di disagio, legate proprio al notevole afflusso numerico. La Sicilia è la prima sponda che raggiungono gli immigrati, ma, se davvero si arrivasse a distribuirli in chiave di accoglienza nei vari paesi europei, anche nell’Isola si allevierebbe la situazione. Saremmo così in grado sicuramente di riflettere e di agire meglio anche sul piano della qualità che si riesce ad offrire. Purtroppo, finora siamo stati sopraffatti dai numeri e non ci si può fermare soltanto a questo.

Bisogna ancora lavorare tanto per sfatare le molteplici paure del “diverso”. Tra le paure più recenti c’è adesso quella che i terroristi dell’Isis possano addirittura arrivare con i barconi. Che ne pensa?

Se non ci fossero i barconi, l’Isis si fermerebbe con la sua precisa volontà di devastare il mondo? Sarebbe comodo se preferissero i barconi: allora blocchiamoli. Credo che se qualcuno dell’Isis volesse arrivare da noi lo farebbe magari in aereo, e allora blocchiamo gli aerei? Andiamo ad Ancona, e allora blocchiamo le navi? Purtroppo fare leva su questo per ingenerare e fare crescere la paura è più facile perché fa più spettacolo. Fa più spettacolo e, sto usando un termine terribile, perché abbiamo bisogno di vedere le tragedie per poter dire “ma poveretti” e così ci sentiamo buoni. Non pensiamo a tutti quelli che muoiono mettendosi sotto i camion o nei treni: allora dovremmo realmente bloccare tutto. L’atteggiamento non può essere quello di alzare i muri di casa nostra perché anch’io potrei avere paura che il mio vicino di casa possa essere un terrorista. E’ facile cavalcare il tema del terrorismo perché inevitabilmente agisce sulla sfera emotiva.

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Dovremmo cambiare punto di vista?

Certamente. Perché io non devo fare paura all’africano? Che carta d’identità ho sulla sicurezza per cui l’africano non deve temere che io sia un mafioso o sia un terrorista o un poco di buono? Solo gli italiani devono avere paura di loro? La bontà non sta tutta dalla stessa parte, perché anche noi ne abbiamo fatti di pasticci.

Qual è la responsabilità dei mass media oggi nel veicolare messaggi e modelli positivi o negativi in tema di immigrazione?

Oggi per fare uno scoop si è disposti a tutto. I mezzi di comunicazione di massa, in alcuni casi, hanno usato male la possibilità di presentare un fenomeno come l’immigrazione. Credo che bisogna puntare all’onestà della comunicazione. Certamente anche il negativo va fatto emergere, perché senz’altro c’è, ma direi che c’è un positivo che va fatto conoscere, affinchè diventi un modello per costruire una società diversa. Sicuramente di tante donne, bambini e giovani che arrivano non si può dire che siano tutti delinquenti. Ci sono tante storie belle e positive di integrazione che fanno tanto bene al Paese.

Riguardo agli altri grandi temi della Caritas, in questo momento come si può rispondere alle nuove e alle vecchie povertà? Quali sono le principali priorità?

Il sociale oggi deve essere visto diversamente dalla politica perchè non ci si può accontentare delle briciole. Abbiamo bisogno di una politica che sappia guardare lontano e che sappia anche guardare realmente agli ultimi come a dei cittadini che meritano la giusta attenzione. Non ci potrà essere crescita se, quando si devono fare dei tagli o degli sconti, si parte sempre dal sociale e quindi dai poveri che devono pagare sempre il prezzo più alto.

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Che risposte sta dando la Caritas?

Credo che la Caritas stia educando le comunità alla condivisione, all’attenzione e all’accoglienza che può sembrare tempo perso ma che, invece, è la base per potere costruire una società diversa. Quando il muratore costruisce una casa impiega molto tempo a costruire le fondamenta e la Caritas sta mettendo un vocabolario nuovo in campo. La Caritas è la Chiesa, non è un’associazione, è la Chiesa che sta anche dando delle risposte concrete a determinati tipi di povertà. Se ci sono delle strutture che oggi accolgono chi ha bisogno e perché attraverso la Caritas si stanno dando delle risposte per migliorare e sostenere la società.

La Caritas deve, nelle sue diverse articolazioni, affiancarsi al pubblico senza sostituirsi nella risoluzione dei problemi che competono allo Stato?

Questa è la nostra posizione ufficiale. Dobbiamo dare tutto il nostro sostegno, affiancandoci allo Stato, che deve rispondere ai suoi doveri. Se lo Stato deve garantire e preoccuparsi di dare la pillola giusta a chi è malato, la Caritas deve fargli recuperare il senso della vita che la persona ha perso con la sua malattia: ridare un senso a chi viene privato di salute ma anche di altre necessità restituendo così la dignità che merita, rimettendolo quindi in piedi”.

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