Sulle unioni gay l’episcopato italiano ha le idee chiare: non se ne parla

I sindaci italiani registrano i matrimoni gay contratti all'estero, e subito si scatena un florilegio di dichiarazioni di fuoco di vescovi e cardinali.

Sulle unioni gay l’episcopato italiano ha le idee chiare: non se ne parla
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21 Novembre 2014 - 12.00


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di Giampaolo Petrucci

Che il Sinodo straordinario sulla famiglia abbia acceso non poche speranze nel mondo omosessuale credente, sembra ormai fuori discussione, visto anche il fiorente dibattito scaturito prima, durante e dopo l’evento. Che però in certi settori della gerarchia cattolica si siano subito profuse grandi energie nell’intento di chiudere, al più presto e con fermezza, quel piccolo spiraglio, anche questo sembra ormai evidente. È il caso, ad esempio, dell’episcopato italiano, che in più di un’occasione ha dato prova di volersi opporre in maniera netta a qualsivoglia possibilità di rivisitazione o indebolimento della dottrina sulle relazioni tra persone dello stesso sesso. Si pensi, per esempio, al caso delle registrazioni dei matrimoni gay contratti all’estero esploso in diversi Comuni della penisola nei giorni successivi al Sinodo, che ha dato la stura a molte gerarchie locali per ribadire la loro posizione inflessibile.

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Il 18 ottobre scorso, a Roma, Ignazio Marino trascriveva in Campidoglio le unioni di 16 coppie. Vicariato e Cei erano andati subito in escandescenze, accusando il sindaco di «inaccettabile e arbitraria presunzione» per un’iniziativa bollata come «ideologica». In quell’occasione – mediaticamente dirompente per la coincidenza con la chiusura dei lavori sinodali – anche altri prelati italiani, come il vescovo di Parma mons. Enrico Solmi, lanciarono la loro fatwa (v. Adista Notizie n. 38/14).

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Seguivano poi le dure critiche di mons. Andrea Bruno Mazzocato, mons. Giuseppe Pellegrini e mons. Giampaolo Crepaldi per le analoghe iniziative promosse dai loro relativi sindaci (Udine, Pordenone e Trento). In un messaggio ai fedeli, diffuso dai settimanali delle loro diocesi il 26 ottobre, i vescovi avevano definito le unioni gay come «travisamenti della realtà della famiglia e del matrimonio» (v. Adista Notizie n. 39/14).

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Il 2 novembre scorso, poi, durante la messa dei Santi e la commemorazione dei morti al Cimitero Monumentale di Torino, il card. Severino Poletto (arcivescovo emerito del capoluogo piemontese), è entrato a gamba tesa nel dibattito politico cittadino, chiedendo al sindaco Piero Fassino di non andare «dietro alla pazzia di certi sindaci». «In questa vicenda – ha aggiunto Poletto, suggerendo tra l’altro la terapia psicologica per “guarire” dall’omosessualità – è la visione antropologica della persona che va a farsi benedire». Un monito giunto a pochi giorni dal dibattito su una mozione relativa alla registrazione dei matrimoni gay, poi approvata dalla Sala Rossa il 10 novembre, con il voto favorevole dello stesso Fassino.

Altra città, altro intervento della Chiesa locale. Questa volta a Bologna, dove il sindaco Virginio Merola ha deciso di continuare a iscrivere nei registri comunali le unioni gay nonostante il provvedimento di annullamento di quattro registrazioni emesso del prefetto. Durante un convegno sul “capitale sociale”, lo scorso 7 novembre, l’arcivescovo di Bologna, mons. Carlo Caffarra, ha citato, tra le cause che rischiano di erodere il patrimonio culturale del Paese, anche la «demolizione dell’alfabeto uomo-donna». Il matrimonio tra uomo e donna esiste da prima della polis, ha detto l’arcivescovo, è “oggettivamente” «l’archè e quindi il paradigma di ogni sociale umano».

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Degna di citazione anche l’intervista rilasciata dal card. Camillo Ruini (già vicario del papa e presidente della Cei) ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera (22/10). Il cardinale – attualmente relegato ad incarichi secondari, ma che gode ancora di buon credito presso l’episcopato che ha guidato e plasmato per oltre 15 anni – ha ribadito la sua contrarietà a qualsiasi forma di apertura sulle unioni gay: «Se c’è qualche diritto attualmente non tutelato che è giusto tutelare, e ne dubito, per farlo non c’è bisogno di riconoscere le coppie come tali; basta affermare i diritti dei singoli. Mi pare l’unico modo per non imboccare la strada che porta al matrimonio tra coppie dello stesso sesso».

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Ma a destare scalpore, in questi giorni, sono le parole pronunciate dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, nella Prolusione con cui ha aperto i lavori della 67a assemblea dei vescovi italiani (Assisi, 10-13/11). La famiglia fondata sull’unione tra uomo e donna, secondo Bagnasco, è «sorgente di futuro» e sarebbe «irresponsabile» indebolire questo istituto «creando nuove figure, seppure con distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di Troia di classica memoria». «L’amore – ha poi aggiunto criticando tra le righe il mondo gay che in esso individua il fondamento una famiglia – non è solo sentimento: è decisione; i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto a un papà e a una mamma. Il nichilismo, annunciato più di un secolo fa, si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti».

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