Chi ha ucciso Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica?

Ucciso la sera del 5 settembre 2010, dopo anni l'inchiesta non procede e i misteri sommergono la vicenda.

Chi ha ucciso Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica?
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5 Settembre 2014 - 20.56


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Anni dopo si sa poco o niente di ufficiale. Nessun colpevole è emerso dalle indagini sull’omicidio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica-Acciaroli (Salerno). Il Sindaco Pescstore, paladino della legalità, fu ucciso con nove colpi di pistola nella notte tra il 4 e il 5 settembre del 2010 mentre rientrava a casa. “Lasciamo lavorare gli inquirenti – afferma Dario Vassallo, fratello di Angelo e presidente della ‘Fondazione Angelo Vassallo’ – il silenzio non vuol dire inattività. Sono fiducioso”.

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Dario Vassallo ricorderà la figura del fratello con un convegno dal titolo “Angelo Vassallo e la bella politica del Sud” con Renato Natale, sindaco di Casal Di Principe. “E’ un uomo coraggioso – dice Vassallo – perché non ricordarlo a Pollica? Perché siamo stufi della vecchia politica. L’unica rivoluzione possibile è il ritorno alla legalità, con la elle maiuscola, e la Casal di Principe di Renato Natale rappresenta la nuova politica. La vecchia politica vuole che il cittadino del Sud sia suddito. Noi diciamo basta alla vecchia politica”.

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Invece il Comune di Pollica ricorderà il suo sindaco con l’inaugurazione del centro sportivo polifunzionale che verrà intitolato ad Angelo Vassallo con la partita di calcio tra la Nazionale italiana parlamentari e una selezione composta dagli attori comici di “Made in Sud”.

 

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L’inchiesta.
Facciamo ora il punto sull’inchiesta dei misteri. Dopo quattro anni di indagini a tappeto il giallo resta senza soluzione. Pistola mai ritrovata, scena inquinata, depistaggi e veleni: tutti gli interrogativi aperti sul delitto del sindaco di Pollica che difendeva la libertà del suo territorio dalla schiavitù delle mafie, degli affari, della speculazione e dalla distruzione del tessuto sociale.

 

Questi i punti salienti del giallo, ricostruiti da Dario Del Porto sulla Repubblica.

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La pistola.
Che fine ha fatto la calibro 9.21 baby Tanfoglio che ha ucciso Angelo Vassallo? L’arma non è mai stata ritrovata. Eppure l’hanno cercata dappertutto. Sono stati effettuati controlli su cento pistole, perquisizioni a tappeto, persino ricerche nelle acque a largo di Acciaroli dove il killer avrebbe potuto gettarla subito dopo il delitto. Tutto inutile.


La scena

Una delle poche certezze dell’indagine, ribadita più volte dal procuratore Roberti, è che la scena del crimine, nelle ore immediatamente successive all’omicidio, non è stata adeguatamente preservata. Si trattò di errori dovuti alla concitazione del momento, o di un tentativo di depistaggio? Anche allo scopo di rispondere a questa domanda, la Procura dispose nell’ottobre del 2012 l’esame del Dna su tutte le persone presenti sul luogo dove Vassallo è stato ucciso, una sessantina in tutto. A oggi, non risulta che questo accertamento abbia fornito risultati significativi.

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Il killer

Ha sparato una mano esperta o quella di un dilettante? E soprattutto, la vittima conosceva il suo assassino? Sul primo interrogativo, le interpretazioni sono discordanti. Vassallo è stato ucciso con nove colpi di pistola. Troppi per essere stati esplosi dall’arma impugnata da un professionista, secondo alcuni. Ma solo un killer pratico di armi poteva sparare tante volte senza fallire un colpo, obiettano altri. La scena lascia pensare invece che ad ammazzare Vassallo non sia stato un estraneo. Il corpo senza vita del sindaco era infatti a bordo dell’auto, ferma con il freno a mano tirato, il finestrino abbassato e il quadro acceso. In pugno stringeva ancora il cellulare. Aveva appuntamento con qualcuno? Gli era stato chiesto di fermarsi per discutere di qualcosa?


La pista della droga.

È un fatto che, durante l’estate 2010, Acciaroli era stata invasa dallo spaccio di stupefacenti. Questa situazione rappresentava, per Vassallo, “fonte di preoccupazione e di agitazione al punto da diventare oggetto di confidenze ad amici, parenti e collaboratori”, come scrive il gip di Salerno Emiliana Ascoli nell’ordinanza emessa alla fine del 2011 sullo spaccio di droga in Cilento prima di trasmettere gli atti per competenza a Vallo della Lucania. Questo contesto costituisce, secondo il gip, “il binario entro il quale, dopo l’omicidio, operare al fine di delineare la triste vicenda”. Il sindaco era convinto che non si stesse facendo abbastanza per arginare il fenomeno. E una sera, pochi giorni prima di essere ammazzato, accompagnato solo da due vigilesse, andò personalmente sul molo di Acciaroli per prendere di petto gli spacciatori, poi anche nelle strade e nei locali della movida. Il suo gesto, o le sue parole, spaventarono qualcuno?


Il brasiliano.

Il suo nome è stato il primo a essere accostato al delitto, senza però risultate mai formalmente indagato. Subito dopo il delitto, Bruno Humberto Damiani, detto “il brasiliano” perché nato a Belo Horizonte e in possesso di doppio passaporto, fu sottoposto all’esame dello stube che diede esito negativo. Due giorni più tardi, lasciò l’Italia per il Sudamerica. Considerato dagli investigatori coinvolto nell’attività di spaccio nel Cilento, inseguito da accuse legate a un’ipotesi di tentata estorsione, Damiani è stato arrestato a Bogotà, in Colombia, il 18 febbraio scorso. È ancora lì, in attesa di estradizione. Un pentito ha sostenuto che un parente di Damiani si sarebbe vantato, negli ambienti malavitosi dei rioni Pastena e Mariconda, asserendo che era stato proprio il “brasiliano” a uccidere il sindaco. La Procura ha indagato anche su un incontro a Secondigliano, avvenuto il giorno prima dell’omicidio, fra Damiani, un albergatore di Acciaroli e due napoletani. “Credo che Damiani abbia molte cose da raccontare utili alle indagini”, ha detto a Repubblica il figlio di Vassallo, Antonio.

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Camorra e affari.

L’indagine viene assegnata alla Procura di Salerno ipotizzando una mano camorristica. Nella prima fase, gli inquirenti configurano lo scenario di una “convergenza di interessi” maturata nel contesto più ampio degli intrecci alimentati, anche indirettamente, dallo spaccio di droga. Una matrice chiaramente mafiosa non è emersa, né sono stati individuati con certezza affari capaci di armare la mano dell’assassino.


La vigilessa.

Il 29 maggio 2011, a Cecchina sui Castelli Romani, si consuma un duplice omicidio per fatti ritenuti legati agli ambienti della droga. Vengono arrestate due persone: il calabrese Sante Fragalà e la sua compagna, Ausonia Pisani, vigilessa ad Albano Laziale, figlia di un generale dei carabinieri in pensione, già capo di stato maggiore dell’Arma, originario del Cilento. Le cronache ipotizzano un ruolo di Ausonia Pisani anche nell’omicidio Vassallo. Le indagini però non toccheranno mai la vigilessa né tanto meno il padre. Le indiscrezioni su una presenza di Ausonia Pisani ad Acciaroli alla vigilia del delitto non trovano conferma. Per la strage ai Castelli, Fragalà è stato condannato in primo grado a 30 anni, la vigilessa a 21 per concorso. Ma questa, allo stato, rimane tutt’altra storia rispetto all’omicidio Vassallo.


I veleni.

La famiglia Vassallo ha più volte denunciato la scarsa collaborazione di Pollica alle indagini. Ma anche gli inquirenti sono convinti che, in paese, tanti avrebbero potuto contribuire a ricostruire la verità e invece hanno taciuto. In compenso, durante questi anni non sono mancati veleni e scambi di accuse. Come la lite, finita in tribunale, fra il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo e un agente immobiliare di Acciaroli. L’ufficiale ha denunciato per calunnia l’imprenditore perché aveva alluso a suo un presunto (e mai riscontrato) coinvolgimento nelle indagini sul delitto, l’agente immobiliare ha querelato per lesioni il colonnello. Non hanno avuto esito altre ipotesi investigative, doverosamente vagliate dagli investigatori ma rima¬ste prive di appigli concreti. Come la pista passionale, ad esempio.

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Il silenzio.

E siamo a oggi. Non si è ancora scoperto chi e perché ha ucciso il sindaco-pescatore. Quest’anno il fratello Dario ha deciso di ricordarlo a Casal di Principe, non a Pollica dove quelli che forse sanno continuano a tacere.

 

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