Ecco a voi Monterusciello, la città d’amianto

A Pozzuoli, in 40.000 vivono in case fatiscenti, costruite dopo il terremoto. Dopo 31 anni si vorrebbe abbatterlo per la salute dei cittadini. E qui entrano in gioco interessi...

Ecco a voi Monterusciello, la città d’amianto
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17 Febbraio 2014 - 19.49


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di Serena Ferro

Come vi sentireste voi se improvvisamente un fenomeno naturale vi facesse evacuare dalle vostre case, confinare in una baraccopoli di prefabbricati temporanei, divenuti poi permanenti per la noncuranza, all’interno della quale vi scorre acqua che segnalate ai vigili del fuoco un giorno si e l’altro pure. In attesa di lavori che implorate al Comune senza risposta. Ignari o volutamente inconsapevoli di vivere tra pareti d’amianto?

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No, non si tratta di Terzo mondo, non sono le favelas brasiliane né i villaggi africani. Questo luogo si chiama Monterusciello ed è un quartiere del Comune di Pozzuoli, Napoli. Italia.

Risale al 1983 e fu costruito per gli sfollati del bradisismo che abitavano nel Rione Terra, zona centrale del Comune. Quattromilaseicento alloggi di palazzine bianche e fatiscenti, ingrigite dal tempo e degradate dall’usura, senza assistenza o manutenzione. Duecentocinquanta ettari di estensione per quarantamila abitanti. Una città nella città. Una città d’amianto.

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Quando giri a Monterusciello e chiedi alle persone se sanno che nelle loro case c’è l’amianto, le risposte sono vaghe. Il loro atteggiamento si contrae all’istante, sembra che tu stia chiedendo loro di denunciare un killer. Trovano un modo per congedarti e si appellano alla frase: «Si dice che ci sia». Sono preoccupati da problemi di natura più spicciola, gli abitanti di Monterusciello. Per loro pensare all’amianto sarebbe qualcosa di molto più grande e forse un tabù.

Porticato in acciaio e amianto carbonizzato.

La signora Antonietta Nocerino ci racconta: «Sono andata due volte al Comune per dire che il tetto è rotto e mi scorre acqua in casa, mi hanno risposto “non ci sono soldi!”. Io ho un marito semi-paralizzato, allettato, che non può lavorare. Quei signori lì, comodi nelle loro poltrone, mi hanno detto che dal terzo piano non possono spostarmi al primo. E nelle palazzine non c’è l’ascensore! Portare mio marito a fare le visite mediche è diventato un inferno, per non parlare dei soldi per provvedere ai lavori che non abbiamo». Quando chiediamo alla signora Antonietta se sa che nelle pareti della sua casa c’è l’amianto, lei assume un’espressione stranita e risponde: «Ne ho sentito parlare. Ci stanno facendo morire abbandonati a noi stessi e nessuno se ne importa!».

Il barbiere della piazza Antonio Palumbo dice: «Abbiamo segnalato la nostra palazzina più volte ai vigili del fuoco, avevamo paura che non fosse stabile. Lo sapete cosa ci hanno risposto i vigili del fuoco? Questa palazzina è inagibile. A vivere all’interno di quella palazzina siamo trenta famiglie!».

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Degrado. Pannello di lana vetro con fibre d’amianto utilizzato per le pareti prefabbricate delle palazzine abbandonato in uno dei cortili del quartire.

Pasquale Esposito, studente universitario: «Sì, lo sappiamo che c’è l’amianto nelle nostre case. Mia nonna ha fatto i lavori in casa, e gli operai l’hanno trovato. Vede, i prefabbricati sono fatti con pannelli di lana-vetro, e questo materiale all’interno contiene delle fibre d’amianto. Il problema dell’amianto nasce soprattutto quando non si fa manutenzione. È un metallo che quando raggiunge la carbonizzazione diviene tossico se respirato. Le assicuro, il Comune non provvede neanche alla manutenzione dei cortili dei palazzi. Per i rovi e le siepi dobbiamo organizzarci noi inquilini. Le case non sono permeabili e sono umide, la gente si ammala di broncopolmonite e spesso asmatica. Il Comune non è in grado di assisterci neanche in problemi quotidiani, figuriamoci se ammettesse che nelle pareti c’è l’amianto».

Ciro Salzano, ex dipendente della Sofer, fabbrica di materiale rotabile e ferroviario, chiusa a Pozzuoli negli anni Novanta: «Lo so bene che c’è l’amianto nelle pareti. Io ho lavorato alla Sofer per vent’anni. Siamo diventati fatalisti. Oramai la terra e l’aria sono inquinate ovunque. La terra per tutti i rifiuti tossici che buttano nelle discariche abusive, non solo quella “dei fuochi” è inquinata. Persino nel mare e nel lago di Lucrino sono stati rilevati campioni d’amianto. Poi gli stabilimenti della Sofer e dell’ Italsider di Bagnoli, l’ex industria di acciaio, non sono stati del tutto smantellati. Da quegli stabili si alzano ancora polveri di materiale pesante e tossico che inquinano l’aria. Qualsiasi abitante dei Campi Flegrei potrebbe ammalarsi di cancro e morire da un giorno all’altro. Si tratta solo di probabilità in più o in meno».

Storie di disperazione, di avvilimento, di fatalità. Un’ignoranza gestita dalle istituzioni per tutti questi anni. Le palazzine, difatti, dovevano durare solo quindici anni. Da piano regolatore sono definite «temporanee». Il Comune avrebbe dovuto abbatterle e rifarle in cemento armato, ma questo non è mai accaduto. Dopo trent’anni i quattromilaseicento alloggi di Monterusciello sono ancora lì. Nel degrado e nella rabbia degli assegnatari.

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Al presidente della onlus Le Aquile di Pozzuoli Antonio Addezzio (si occupa di temi riguardanti la protezione civile) abbiamo chiesto i motivi per cui le istituzioni non si sono impegnate prima per la salvaguardia e ricostruzione del quartiere. Il presidente ci ha spiegato un retroscena altrettanto scottante: «Dietro le case di Monterusciello è stato fatto un business inimmaginabile durante tutti questi anni. Già diversi dubbi sorgono a monte sulla costruzione del quartiere. In realtà, il bradisismo è un fenomeno naturale temporaneo. Le case non furono fatte per il terremoto dell’Ottanta, perché scomodarsi tre anni dopo? Il reale obiettivo del Comune era quello di rilanciare il mercato immobiliare puteolano. In modo particolare gli interessi ricadevano sul “Rione Terra”, l’area centrale di Pozzuoli sul porto, che oggi è tutta patrimonio ambientale. Il Comune spostando trentamila abitanti a Monterusciello aveva modo di rivalutare le loro case e rivenderle a prezzi più alti, per il reale valore. Nel frattempo gli assegnatari delle case di Monterusciello si sono organizzati in attività di compravendita di altrettanta dubbia legalità. Rivendono le loro case a terzi. Un appartamento di quarantacinque metri quadri va dai quarantamila agli ottantamila euro. Il tutto avviene senza contratto, in nero e con pagamento in contanti. Al Comune dichiarano una residenza congiunta. Poi, il primo proprietario chiede il cambio di residenza presso una nuova casa e all’interno dell’alloggio resta l’acquirente che continua a pagare il pigione comunale. In merito a queste attività ci sono addirittura casi di appropriamento degli alloggi tramite occupazione. Diversi assegnatari dopo permanenze in ospedale si sono ritrovati senza casa. Lo stesso avviene, ad esempio, per le persone defunte. È la guerra dei poveri, niente di più niente di meno».

Intonaci scrostati e pareti ingrigite dall’umidità.

Nel frattempo, per cercare di ottenere dei provvedimenti si sta muovendo la Sunia, sindacato case popolari. Il nuovo segretario Gaetano Palumbo ha presentato il progetto piano casa per la ricostruzione del quartiere Monterusciello alle istituzioni. In conferenza stampa sono stati presenti tutti gli esponenti interessati e le reazioni sono state le seguenti.

Il deputato pd della Regione Campania Raffaele Topo; «Mettersi ai lavori di risanamento del quartiere sarebbe un’opera titanica ed inutile. Fra un paio d’anni ci potremo ritrovare davanti allo stesso problema. Le case vanno abbattute e ricostruite».

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Il deputato europeo Andrea Cozzolino (Pd): «Ho esposto il problema a Bruxelles. Il parlamento acconsente a donare dei fondi speciali per la ricostruzione di Monterusciello. L’opera richiederà fondi sia dall’Unione europea, che dallo Stato, che dalla Regione Campania e dal Comune. Tutti dovremo impegnarci per Monterusciello. È un’emergenza. Se non adottiamo subito delle misure d’intervento, il caso rischia di divenire internazionale».

Il sindaco di Pozzuoli, Enzo Figliolia: «Non pensate che io non sia d’accordo sulla ricostruzione del quartiere. So anche io che il Comune si trova dinnanzi un caso di emergenza, di cui io stesso potrei pagarne le conseguenze. Ma il mio dovere è anche quello di essere realista. Il Comune, come la Regione, non ha fondi, Sappiamo già che i lavori dovranno essere assegnati a dei privati, e ciò comporterà una ricaduta sociale. In un quartiere che presenta il cinquanta per cento di morosità, non potrò chiedere la triplicazione del fitto. Mi dispiace, ma il mio compito è prima quello di provvedere a una equità sociale e alla forte disoccupazione degli assegnatari. Se le case saranno ricostruite, i cittadini dovranno anche loro impegnarsi fattivamente nell’iniziativa».

Alle parole del sindaco gli abitanti del quartiere hanno fischiato in segno di protesta. Molti di loro si sono alzati e hanno lasciato la sala conferenze. Altri sono addirittura insorti, inveendo fortemente verso il sindaco. «Questa è speculazione!». I cittadini si sono sentiti presi in giro di nuovo. Gli appalti ai lavori potranno rappresentare un’altra occasione di business da parte di alcuni politici.

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«Mentre loro pensano a rubare noi qui possiamo morire sotto il nostro stesso tetto. Cosa aspettano, che ci cada una palazzina addosso?», dice un cittadino. «È sempre la stessa storia da anni. Siamo stanchi», commenta un altro.

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