Il pentito Messina: «In Cosa Nostra si diceva che Andreotti fosse affiliato»

Il collaboratore di giustizia nisseno sta deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. «Era uomo d'onore, che era punciuto», (affiliato formalmente).

Il pentito Messina: «In Cosa Nostra si diceva che Andreotti fosse affiliato»
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5 Dicembre 2013 - 12.50


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“In Cosa nostra si diceva che Andreotti fosse uomo d’onore, che fosse ‘punciuto’ (affiliato formalmente, n.d.r) e che ci avrebbe garantito al maxiprocesso”. Lo ha detto il pentito nisseno Leonardo Messina che sta deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d’assise di Palermo.

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Il collaboratore ha riferito che inizialmente tra i vertici di Cosa nostra c’era la certezza che il maxiprocesso, in Cassazione, sarebbe andato al giudice Corrado Carnevale. “Si riteneva che sarebbe finito in barzelletta”, ha detto.

Poi “quando si seppe che invece a presiedere il collegio giudicante che avrebbe celebrato il maxi sarebbe stato un altro, si capì che i politici si erano allontanati”. “Allora ci si cominciò a lamentare di Salvo Lima e Giulio Andreotti – ha spiegato – e si disse che non erano più in grado di garantire nulla”.

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Il pentito ha poi detto: “Io ero con Borino Miccichè e altri uomini d’onore e mi è stato detto chiaramente, tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, che c’era una commissione nazionale che deliberava tutte le decisioni più importanti. Una commissione in cui sedevano i rappresentanti di altre organizzazioni criminali e il cui capo era Totò Riina”. Il collaboratore di giustizia ha riferito ancora: “Un giorno c’era Umberto Bossi a Catania. Dissi a Borino Miccichè: Questo ce l’ha con i meridionali e gli dissi ‘vado e l’ammazzo’. Mi disse di fermarmi: questo è solo un pupo. L’uomo forte della Lega è Miglio che è in mano ad Andreotti. Si sarebbe creata una Lega del Sud e la mafia si sarebbe fatta Stato”.

“Borsellino mi disse: a noi serve solo la verità, non le congetture o i pensieri. E così ho iniziato a collaborare parlando per ore mentre lui mi stava ad ascoltare”. Il pentito Messina inizia ufficialmente a collaborare a partire dal 26 giugno 1992 e ha detto che già da tempo all’epoca subiva un profondo travaglio interiore: “Ho vissuto il trapasso tra la vecchia Cosa nostra e quella voluta dai corleonesi. Ho assistito al cambiamento – ha detto – e alla distruzione di Cosa nostra. La notte in cui fu ucciso il giudice Falcone – ha ricordato – in carcere a Brindisi gli altri detenuti avevano le bottiglie di vino, brindavano. Mentre in me era crescente la repulsione”.

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