Ingroia: l'Italia ha un problema con la verità

Il pm di Palermo pronto per il Guatemala: la mia non è una fuga. L'omertà non è solo mafiosa, ma anche di appartenenti alle istituzioni. [Onofrio Dispenza]

Ingroia: l'Italia ha un problema con la verità
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

23 Luglio 2012 - 00.28


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“E’ difficile che la magistratura possa arrivare alla verità, se non c’è uno scatto della politica. Ancora una volta, c’è come un muro di gomma da sfondare”. La sera non è calda come quelle che l’hanno preceduta. A Marinella di Selinunte c’è un appuntamento con il Festival della legalità, e l’ospite è Antonio Ingroia.

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C’è attesa perché è il giorno della notizia dell’incarico Onu che porterà Ingroia lontano da Palermo, in Guatemala, su una piattaforma della lotta alle mafie che gli consentirà una lettura più alta dei traffici criminali internazionali, ma che lo allontanerà dalle inchieste “scomode” che, in ultimo, lo hanno fatto apparire “senza riguardo” per le posizioni più alte di uno Stato che comunque, al suo interno, sicuramente conserva la chiave di lettura delle pagine più buie della democrazia. Il nodo è l’estate del ’92, e quello che la precedette. Ma anche quello che seguì le stragi, con una serie di misteri e depistaggi che ebbe, forse, il suo momento più inquietante nella scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, già quel maledetto 19 luglio del ’92, con i corpi straziati ancora a terra e le fiamme ad avvolgere l’auto del magistrato e della scorta.

L’incontro con Ingroia, in un bar davanti al mare. L’atmosfera sembra quella latino americana che Ingroia s’appresta a vivere. Alle spalle del procuratore aggiunto di Palermo, le foto private di Paolo Borsellino. Tiene banco il conflitto d’attribuzione sollevato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nei confronti della Procura di Palermo. E le dichiarazioni di Marcello Dell’Utri, pesanti, e con un linguaggio che si affida, coi toni della sfida, ad un cifrario tutto siciliano. Antonio Ingroia non si tira indietro, è nel suo stile, ha una risposta per tutte le domande, ha voglia di parlare. Paolo Borsellino, tema della conversazione, diventa solo l’imput di un intervento che arriva immediatamente all’oggi, e al futuro prossimo del magistrato.

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“Perché vado in Guatemala? La mia non è una fuga, non è una ritirata. Penso che sia arrivato il momento di lavorare per una Procura mondiale antimafia. Lo so, forse è un’utopia, ma il problema deve essere affrontato”. Ingroia fa un esempio che ci porta poco più in là di questo bar in riva al mare. Selinunte non è distante dal regno del numero uno dei latitanti: ”Matteo Messina Denaro – dice Ingroia – per esempio, è solo l’ingranaggio di una rotella”. Per questo, Ingroia accetta di guardare alla mafia da un gradino più alto, per poter vedere più in profondità, per scrutare più lontano e avere una foto d’insieme nella quale c’è anche la Sicilia. Per questo la sua non è una fuga, non è un addio, tantomeno l’accettazione di un esilio perché magistrato scomodo. Votato alla ricerca della verità sull’estate del ’92 costata la vita a Giovanni Falcone e al suo maestro, Paolo Borsellino, Ingroia – è stata l’accusa – non ha avuto riguardo per nient’altro che le necessità della verità. E il conto è stato salatissimo: Guatemala. La risposta di Ingroia è di orgoglio per il percorso fatto e di amarezza per gli attacchi ricevuti; attacchi faziosi e ingiustificati.

Ingroia: ” A ferirmi sono state non le parole solite, ma quelle insolite”. A proposito del conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente, Ingroia giudica, infatti, calunniose le parole scritte da Eugenio Scalfari.
Forse Ingroia, accettando il Guatemala ha scelto di salvare le inchieste alle quali ha lavorato: ”Penso che sia utile, per un magistrato sovraesposto come me, un periodo di decantazione – dice l’uomo più scomodo d’Italia – ormai se la prendono con Ingroia per fermare le indagini. La mia lontananza farà bene ai colleghi che stanno lavorando. Se le cose cambieranno, se la politica avrà voglia di rischiarare il buio, potrei avere voglia di tornare dal Guatemala”. Non è una battuta. Ingroia sorride come sapeva fare Borsellino. Un sorriso dove c’è tutto, anche l’esatto contrario del sorriso. Ma la Sicilia è così, c’è chi sa sorridere anche da morto, come giurano quanti hanno visto Borsellino senza vita.

La trattativa:. “L’Italia – dice Antonio Ingroia – è un Paese che ha un problema con la verità, non tutti vogliono conoscerla. In Italia, siamo propensi ai compromessi. Ma, per fortuna c’è un’altra Italia, un Paese che vuole sapere”. Poi, l’amarezza di Ingroia: “Non credo che la magistratura potrà compiere ulteriori passi in avanti. In Italia c’è un muro di gomma. Non c’è solo l’omertà dei mafiosi, c’è il silenzio degli uomini delle istituzioni che ebbero responsabilità in quel periodo. Per questo, è alla politica che tocca uno scatto in avanti…” Ingroia fa una proposta: si costituisca una commissione di inchiesta che approfondisca, senza riserve e con coraggio, come è andata veramente quella stagione della nostra storia. Altra indicazione di Ingroia, rimettere mano alla legge sui pentiti.

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“Perché parlo tanto? Lo faccio perché la magistratura non è una casta chiusa, non dovrebbe essere così. Per questo non rinuncio al dibattito. E talvolta è necessario scavalcare pure la mediazione della stampa per esprimersi al meglio. Non tutti sono tifosi della verità…”. Poi, “il magistrato con la valigia” parla della magistratura: “E’ il cane da guardia, chiamato in causa quando serve, nei momenti d’emergenza. Poi si pretende che torni nel suo angolo”, buona, a cuccia. L’incontro finisce, Ingroia si gira a guardare le foto di Paolo Borsellino. Il mare si fa sentire, c’è vento. “Paolo negli ultimi giorni non era più lo stesso, non era più l’uomo sorridente di sempre”. Finisce il giorno, il Guatemala è più vicino.

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