Identikit giovane criminale: italiano, benestante

Studio dell'Università di Cagliari. Il reato minorile si realizza in gruppo. All'85% sono ragazzi italiani. Desiderio del rischio, più frequente nelle classi agiate.

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22 Giugno 2012 - 17.19


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Il 70% dei reati commessi da minori si realizza in gruppo. Di questi l’85% viene commesso da ragazzi con cittadinanza italiana. L’età media è 16 anni e in oltre l’85% dei casi gli autori sono di sesso maschile. Si tratta nel 55% dei casi di reati contro il patrimonio, per il 20% di delitti contro la persona (percosse, lesioni, omicidio e violenza sessuale); contro persona e patrimonio nel 20% dei casi e di reati di spaccio di sostanze stupefacenti e altro (5%). Sono i risultati dello studio condotto, tra il 2000 e il 2010 da Cristina Cabras, Professore Associato di Psicologia Sociale all’Università degli Studi di Cagliari e Specialista in Criminologia Clinica.

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“La condizione deviante non è quasi mai riconducibile alla malattia mentale”, ha detto Cabras che ha sottolineato come essa sia legata al “desiderio del rischio fine a se stesso”, atteggiamento tipico dell’età adolescenziale che si ritrova sviluppato più frequentemente “nei ragazzi che appartengono a classi più agiate, per le loro maggiori possibilità economiche”. Secondo lo studio di Cabras “il comportamento delinquenziale aumenta fino all’età di 17 anni per poi regredire”. “Mediamente la carriera criminale inizia a 17 anni, dura circa 6 anni e, nella maggioranza dei casi analizzati si conclude a 25 anni”, ha sottolineato la docente.

I dati raccolti affermano che tre quarti dei condannati in giovane età vengono ricondannati tra i 17 e i 24 anni, mentre solo la metà di questi riceve condanne tra i 25 e i 32 anni. “Chi prosegue nell’attività criminale, lo fa in gruppo”, sottolinea la criminologa. “Gli atti realizzati in gruppo non corrispondono a quelli che i singoli realizzerebbero”. Per prevenire la devianza “i ragazzi tra i 14 e i 18 anni vanno aiutati ad usare reazioni differenti e comportamenti di indipendenza per poter far fronte alla pressione del gruppo” afferma Cabras. “La paura della solitudine è uno degli elementi più significativi dei disagi provati dai giovani”.

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“Gli elementi che concorrono al ripetersi di condotte antigiuridiche dipendono anche da aspetti che produce la carcerazione”. Si tratta di un dato fondamentale perché “non vi sono fondi a sufficienza per fare prevenzione nè trattamento”, sottolinea Cabras. Di conseguenza “Gli effetti della carcerazione sono sempre negativi, in ogni circostanza, perché non ci sono nè competenze sufficienti nè programmi specifici, per trattare la devianza”. La criminologa afferma che, se vi fossero fondi per portare avanti programmi specifici “i soggetti in carcere sarebbero in condizione ottimali per essere trattati”.

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