Il morto, il morto. Serve il morto? E a chi?

Il sistema non è all’altezza, non è in grado di garantire sicurezza ai cittadini. È una constatazione, lo si è visto in piazza sabato 15.

Il morto, il morto. Serve il morto? E a chi?
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19 Ottobre 2011 - 10.45


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di Ernesto Mandelli

Il sistema non è all’altezza, non è in grado di garantire sicurezza ai cittadini. È una constatazione, lo si è visto in piazza sabato 15. Ci sono le carenze di organico e di mezzi, grazie ai tagli del governo; ci sono gli spoil system che tolgono risorse e competenze agli apparati per favorire carriere dorate agli amici dei vari Bisignani (abbiamo visto le denunce su Globalist –e in verità ben poco altrove- dei guasti provocati dall’indebolimento dell’intelligence nel mondo arabo e mediorientale); ma ci sono anche degli ‘scopi’ in tutto questo?

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Il “vero” compito. Certo, da quando esiste la Repubblica gli apparati di sicurezza hanno dei compiti ben precisi loro assegnati dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato. Formalmente è così. Ma, come ha ben spiegato il presidente emerito Cossiga, le loro azioni illegali per contrastare uno sviluppo politico del paese in direzione non gradita in particolare agli Stati Uniti erano indispensabili. Per cui definire ‘deviati’ quegli apparati è corretto solo rispetto alla legge, mentre il loro vero compito è stato assolto senza deviazione alcuna.

Intelligence ceca. Temo che, in ben altro contesto ovviamente, il quadro desolante offerto dai servizi e dalle forze dell’ordine in occasione della manifestazione del 15 ottobre abbia diverse facce e diversi attori in campo. Quel che su qualsiasi mailing list dei settori antagonisti veniva discusso e annunciato da settimane (e successivamente rivendicato nel dettaglio, in un delirio di onnipotenza da avanspettacolo) difficilmente poteva sfuggire anche alla più ignorante delle intelligence.

Il consenso perduto. Forse sono i poliziotti ad essere tenuti all’oscuro da parte di chi li comanda. Forse alcuni ordini incomprensibili hanno anche una logica, dopo la ‘pessima figura’ durante il G8 di Genova. Essere sopraffatti per mezzi insufficienti pone gli agenti sul piano di vittime. Ruolo che però sicuramente nessun agente vorrebbe ricoprire, e lo dice. Ma che è funzionale a recuperare un consenso perduto da tempo sia nell’opinione pubblica che persino in una parte almeno dei manifestanti (tutti abbiamo visto la foto della ragazza quasi accarezzata dal poliziotto dopo gli scontri in piazza San Giovanni). Consenso ad usare mano dura la prossima volta, invocata persino dall’opposizione politica, pronta persino ad invocare leggi Reale bis contro l’inefficienza del governo.

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Indurre voglia di repressione. E allora il capo dell’intelligence italiana, più volte tirato in ballo anche su questo sito non so se sempre pertinentemente da alcuni articolisti, che sicuramente ha una lunga esperienza sul campo, e anche il capo del Viminale, che non ne capisce moltissimo ma da questo è influenzato, forse stanno attuando una tattica assai più pericolosa delle insufficienze registrate in piazza San Giovanni per contenere la protesta sociale, quella vera e quanto mai legittima, che cresce ogni giorno nel paese e di cui persino Draghi si rende conto. Questa tattica è stata messa in atto anche da apparati in preparazione di svolte dittatoriali. Non bisogna arrivare a tanto, ma basta predisporsi in una modalità che spinga a far invocare la repressione o le svolte autoritarie dallo stesso popolo che le subirà.

Si cerca il morto? Mi pare chiara l’affermazione del ministro Maroni all’indomani degli scontri in Val di Susa già qualche mese fa: ‘volevano il morto’ (tra le forze dell’ordine). Assai grave, soprattutto se rivolta a una lotta gestita da un’intera valle da quasi vent’anni e diventata assai radicale con il nuovo sventramento dell’inutile (e dannosa) Tav, e non da pochi facinorosi. Grave e palesemente sopra le righe. Perché? E lo stesso ritornello fa capolino all’indomani del 15 ottobre: ‘si cerca il morto’. Si cerca il morto?

Le vittime “utili”. E per innescare quale contesto ambientale più favorevole ai dimostranti? Sarebbe semmai l’anticamera del riflusso inevitabile di un potenziale movimento di massa pericoloso e l’innesco di una dinamica militarista del settore più estremo: più facile da annichilire, va da sé. De Gennaro ha attuato questo copione a Genova. E Cossiga, pur suo acerrimo nemico, l’ha condiviso e in occasione del movimento studentesco strabordante di qualche anno fa ha invitato la polizia ad aggredire con ferocia, ad infiltrare provocatori e a ‘produrre’ vittime nell’azione: un vecchio passante o persino un bambino ferito avrebbero creato una repulsione verso quel movimento. Parole in libertà di un personaggio discutibile? A guardare la storia d’Italia forse non tanto.

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Lasciare mano libera. Già la storia d’Italia, ripercorriamola con la mente. La Val di Susa è oggi un simbolo di resistenza e dignità che forse è giunto il momento di provare ad infangare, perché tanto popolare quanto fastidiosa per grandi interessi economici bipartisan: il miglior ingrediente –questo- per sperimentare la “fase due”, dopo la “fase uno” in cui si è lasciato libera mano di sfasciare qualsiasi cosa a qualcuno qualche giorno fa. Come dice la lettera del capo dell’intelligence a Gianni Letta del 22 settembre: non c’è nessuna emergenza.

Poliziotti da sacrificare. Ma i poliziotti sono davvero disponibili ad essere mandati allo sbaraglio in piazza e a fare da agnello sacrificale in qualche vallata del Nord, solo per garantire un disegno politico antidemocratico e inquietante? A voler guardare il sindacalismo di polizia di oggi, in gran parte infeudato, salvo rare eccezioni, alle gerarchie e lontano anni luce dal movimento democratico di Franco Fedeli degli anni ’70, parrebbe di sì.

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