Amanda e Raffaele: la stupidità pericolosa dei media

Giornali e tv costruiscono criminali sulla base di fatti non di rado mal assortiti. Il problema per chi viene indagato è colossale.

Amanda Knox
Amanda Knox
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4 Luglio 2011 - 09.21


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Giornali e tv costruiscono criminali e mostri sulla base di fatti non di rado mal assortiti se non inventati del tutto. Il problema per chi viene indagato è colossale. Le indagini si fanno raccogliendo prove di colpevolezza. Elementi incontrovertibili che dimostrino, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità degli imputati. È una regoletta tanto ovvia quanto semplice da applicare, ma sembra che per molti giornalisti “moderni” rappresenti un rebus irrisolvibile.

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Durante il processo di primo grado a Raffaele Sollecito ed Amanda Knox era più che evidente la fragilità delle tesi di accusa. Prima di tutto a causa dello psicologismo d’accatto che permeava le indagini. La “ragazza fatale” americana, il ragazzo italiano “fissato” per i coltelli, le foto di lei su Facebook, i profile da dilettanti, gli psicoanalisti dell’ultim’ora, eccetera.

La studentessa di Seattle, in realtà, a quell’epoca era banalmente una “provinciale”, cresciuta in una piccola città dello Stato di Washington famosa per essere la sede di Boeing e Microsoft o per aver dato i natali a Jimi Handrix o ai Nirvana, ma meglio comprensibile nella sua essenza osservando la famosa serie televisiva Grey’s Anatomy.

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Il Seattle Grace Hospital ed i suoi medici, infatti, sono al centro di vicende sentimentali o professionali molto lontane da quelle dei loro colleghi del pronto soccorso del County General Hospital della megalopoli dell’Illinois Chicago, il set di E.R. – Medici in prima linea. La differenza tra quelle storie spiega più di ogni altra cosa i perché di alcuni comportamenti di Amanda Knox ed i consumatori di tv del nostro Paese sanno bene quanto i protagonisti napoletani di “Un posto al sole” siano diversi da quelli lombardi di “Vivere”.

Eguale ragionamento si può applicare a Raffaele Sollecito, un giovanotto nato in un paesetto a pochi chilometri da Bari, Giovinazzo, e cresciuto in una famiglia benestante, da una mamma casalinga e da un padre medico (i due erano divorziati). Tanto “paesano”, che in una sua biografia si legge come durante un soggiorno tedesco per Erasmus lo studente di informatica fosse rimasto “scioccato” dopo aver conosciuto un altro studente, laureando in fisica in Groenlandia. “Roba da film” viene descritto il mitico evento e permette di chiedersi cosa mai avrebbe travolto la fantasia di Raffaele di fronte ad un podista proveniente dell’Isola di Pasqua.

Insomma, nella piccola Perugia forzatamente cosmopolita a causa dell’università, ma concretamente piccolo borgo rurale, un omicidio come quello della povera Meredith Kercher ha prodotto uno scossone colossale, che ha trovato impreparati tutti. Inquirenti, indagati, cittadini e magistrati sono finiti da subito nel tritatutto dei media, dei Porta a Porta, delle interviste “scoop”, delle sciocchezze rilanciate per far rumore e conquistare lettori o spettatori. Ed il risultato è stato quello di un processo a senso unico, nel quale una Corte ha negato alla difesa una perizia fondamentale, che eseguita adesso ha del tutto ribaltato la situazione.

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Stessa cosa accaduta per Cogne, Garlasco, Avetrana, Erba, Brembate di Sopra, solo per fare alcuni esempi. Se Annamaria Franzoni, a dispetto delle cronache, è stata condannata sulla base di prove del tutto indiziarie (mai trovata l’arma del delitto, nessuna confessione, nessun testimone oculare) a Garlasco Alberto Stasi si è “salvato” dall’accusa di aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi grazie all’abnegazione di un magistrato, che nonostante le biciclette in studio di Vespa, le “indagini scientifiche” e gli opinionisti televisivi, ha disposto una perizia che ha smantellato le tesi dell’accusa in quattro e quattr’otto. Azouz Marzouk fu subito indicato come colpevole con pagine di giornali a caratteri cubitali per la strage compiuta da Olindo Romano e Rosa Bazzi e riuscì a “cavarsela” solo perché era in Tunisia al momento dei fatti. Stessa storia a Brembate, dove ad un certo punto si è arrivati all’abbordaggio di una nave per catturare Mohamed Fikri, un marocchino che non c’entrava nulla. Anche per lui ululati mediatici in quantità. Per non parlare dell’omicidio di Sara Scazzi, per il quale un reo confesso, Michele Misseri, è libero e due persone, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, nei confronti delle quali non esiste alcuna prova circostanziale, sono in galera. Pure nell’affaire di Avetrana tonnellate di carta, ore ed ore di tv ed esercitazioni di psicologia da stregoni rappresentano il regno dell’improvvisazione e del dilettantismo, ma tragicamente il Calvario nei confronti delle due donne inquisite le tiene in carcere.

Negli Usa il caso Strauss Kahn impensierisce nella stessa misura degli omologhi episodi italiani. Anche per Dsk fin da subito c’era qualcosa che non quadrava ed in un articolo InviatoSpeciale scrisse solitario: “Di certo non è facile credere che un uomo potentissimo e molto ricco possa assalire all’improvviso una cameriera entrata casualmente nella sua stanza d’albergo per poi fuggire all’aeroporto. Così come stupisce la solerzia della polizia della metropoli americana, che ha prelevato DSK a tempo di record su un aereo prossimo al decollo”.

Domanda che sembra ben pochi si sono fatti in America (ed in Italia), investigatori compresi. Il risultato dell’omissione è stata un’orgia di stupidaggini a mezzo stampa vomitate sul pubblico, il capo del Fondo Monetario Internazionale cacciato dal suo posto di lavoro e, soprattutto, il più temibile avversario del presidente francese Sarkozy alle prossime elezioni presidenziali messo al tappeto.

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Per fortuna gli States non sono l’Italia ed il potentissimo economista è un uomo ricco. I suoi investigatori privati hanno “stimolato” i detective della procura ed in un mese e mezzo l’affaire è stato demolito. Certo, se al posto di Strauss Kahn ci fosse stato un taxista portoricano di Spanish Harlem sarebbe rimasto nella poco ospitale galera di Rikers Island per almeno trent’anni.
Gli errori o i complotti investigativi, le convinzioni “ferree” di magistrati che guidano indagini senza aver fatto un solo giorno di scuola specializzata, ma a capo delle équipe solo perché vincitori di un concorso nel quale sono state verificate le loro conoscenze dei codici e non certo le attitudini personali, il ricorso eccessivo alle “dimostrazioni scientifiche”, che salvo in casi rari forniscono indicazioni importanti, ma non prove certe dei delitti stanno diventando un vero e proprio itinerario dell’orrore per alcuni cittadini presi di mira da una giustizia non troppo giusta.

Poi ci sono gli avvocati, che non amano collaborare alla ricerca della verità, ma preferiscono ricorrere ai più stravaganti cavilli legali per “proteggere” i propri assistiti ed i tifosi, che riempiono bar, barbieri e parrucchieri, autobus, parcheggi, sale d’aspetto e treni con bislacche chiacchiere destituite di qualunque fondamento.

Questo esercito di perditempo, tuttavia, ha nei media il più efficace elisir di lunga vita. Perché grazie a reporter senza qualità le ipotesi accusatorie diventano “fatti dimostrati” e si finisce col dimenticare che le prove hanno bisogno di essere inequivocabili per aver valore.

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DSK è stato salvato a New York dal suo denaro, perché grazie a quello i suoi investigatori privati hanno battuto quelli del procuratore. Ed i giornalisti che hanno scritto scemenze per quasi due mesi ora hanno dimenticato quello che hanno affermato ed hanno scoperto l’esistenza del “terribile errore”.

Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono nella stessa condizione e dopo le conclusioni dei periti qualcuno ha cominciato a scoprire quello che era chiarissimo fin dal primo giorno, bastava leggere con attenzione i documenti prodotti dall’accusa.

Il problema della qualità dei giornalisti sta diventando un problema molto serio ed i cittadini, che tanto amano passare le proprie serate guardando le ricostruzioni televisive, dovrebbero cominciare a punire (cambiando canale) chi usa la tv per confezionare processi in tv privi di qualsiasi credibilità.

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