Siri e Google sono sempre in ascolto: ecco perché è un problema
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Siri e Google sono sempre in ascolto: ecco perché è un problema

Alcune indagini hanno rivelato che queste tecnologie sono sempre attive, anche quando non dovrebbero, e utilizzano le informazioni per operazioni di marketing

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globalist Modifica articolo

3 Settembre 2021 - 13.49


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“Ciao, come posso aiutarti?”, la domanda principe degli assistenti vocali, sempre più presenti all’interno delle case e sempre più pronti ad aiutare il consumatore a soddisfare le sue più piccole esigenze.
Qualcuno però dopo essersi affidato al dispositivo di ascolto di una o dell’altra società tecnologica, incoraggiato dalla stessa, inizia a essere preoccupato che Siri o Google lo ascoltino anche quando non dovrebbero. 
Negli Stati Uniti queste paure sono già state portate in tribunale. Un giudice della California ha stabilito che Apple dovrà continuare a combattere una causa intentata dagli utenti, sostenendo che l’assistente vocale della società, Siri, ha registrato le conversazioni private senza autorizzazione. E inoltre avrebbe fornito i dati a terzi, violando così la privacy dei clienti.
Nelle risposte alla causa, Apple dice che non ha venduto le registrazioni di Siri e che inoltre gli audio non sono associati a un “individuo identificabile”.
E ha continuato dicendo che la privacy è un diritto da rispettare, “Apple lavora attivamente per migliorare Siri per prevenire inavvertitamente i trigger e fornisce spunti visivi e audio riconoscibili in modo che gli utenti sappiano quando Siri viene attivato”.
Il caso è uno dei tanti che vedono Apple, Amazon e Google violatori della privacy per colpa dei loro assistenti vocali. Le tecnologie, spesso indicate con i loro nomi – Siri, Alexa e Google – hanno, secondo le aziende, l’unico scopo di aiutare nei compiti quotidiani. Riproducono musica, impostano un timer, aggiungono qualcosa alla lista della spesa o leggono il giornale. 
La portavoce di Amazon, Faith Eischen, ha dichiarato che Alexa registra l’audio solo quando i dispositivi rilevano la parola “wake” e inoltre che solo una “piccola frazione” dell’audio viene memorizzata. Un’indagine del Washington Post del 2019 ha scoperto però che Amazon conserva una copia di tutto ciò che l’assistente vocale registra dopo aver sentito il suo nome.
Le cause intentate contro le aziende, secondo Nicole Ozer, direttore per la tecnologia e le libertà civili dell’ACLU della California, chiedono risposte su come le società si comportano quando inciampano in qualcosa che non dovevano sentire, o che può risultare utile per operazioni di marketing. “Penso che questa causa sia il segno che le persone iniziano a capire che Siri non lavora per noi, ma per Apple”, ha concluso.

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