Meritocrazia in Rai: serve solo metterci la faccia?
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Meritocrazia in Rai: serve solo metterci la faccia?

Pro e contro la campagna avviata dai giornalisti per protestare sull'uso di esterni, assunti anche a tempo indeterminato e con ruolo dirigente.

Rai, studio tg1
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14 Luglio 2016 - 15.53


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“Io ci metto la faccia” è una campagna avviata dai giornalisti Rai per protestare sull’uso continuato e indisturbato di esterni, assunti anche con contratto a tempo indeterminato e immediatamente con ruolo dirigente. A scapito di 1.700 giornalisti. Chi partecipa alla campagna inserisce in Rete, su Facebook, il proprio volto, il curriculum e le competenze. Una campagna che non trova tutti d’accordo. C’è chi pensa che questa campagna sia una specie di abdicazione alla tradizionale azione sindacale. Questi vorrebbero che il sindacato andasse a muso duro con l’azienda facendo di queste assunzioni a pioggia e immotivate l’elemento centrale del confronto e dello scontro, se l’azienda restasse indifferente. Nel malessere dei giornalisti Rai anche la percezione della inutilità della “mappatura” avviata all’interno delle redazioni per un censimento delle competenze, e la delusione del job posting, risultato una presa in giro, con la precostituzione sostanziale di diversi risultati, a scapito di concorrenti alla fine esclusi e che avrebbero meritato la destinazione in palio, l’ufficio di corrispondenza da ricoprire. In questo clima pesante e con una azione sindacale che appare in affanno e che si rifugia nella Rete, da un giornalista RAI riceviamo e pubblichiamo una lettera firmata. Eccola:                                       “Una lunga esperienza mi insegna che la lotta per la meritocrazia in Rai è una guerra  persa in partenza . Dopo lunghe e faticose battaglie esistono due vie d’ uscita: o muori, in disgrazia, incastrato tra le che caudine, o ti adegui ,con dignità, alla posizione di gregario che tira avanti e produce, come in una catena di montaggio.  Tiro fuori questa massima dall’ultima vicenda professionale, così divertente da sembrare un  feuilleton. Ma, che ha del tragico perche’ mette a nudo i meccanismi poco trasparenti  della  Rai, che è una delle poche aziende rimaste ancora in piedi Italia. Non rassegnandomi avevo cercato di ottenere risposta da dirigenti a me prossimi ed anche al più alto livello a questa domanda:” Perché, pur avendo tutti i numeri per essere considerato per quella determinata posizione, da anni non riesco ad ottenerla?” .

Beh, il feullieton diventa  una pagina di narrativa kafkiana… Avete presente le prime scene  del “Castello”? Come il povero agrimensore mi sono perso senza aver ricevuto alcuna risposta plausibile. Dopo un lungo percorso, per avere risposta alla mia domanda, peraltro semplice, ho scoperto che  i vertici, in realtà, non sono tali. Perché “esprimono solidarietà, ma non possono entrare nel merito delle scelte produttive”. Insomma, un simpatico non sense. È vero che sia a Saxa, che in viale Mazzini i dirigenti vengono assaliti e tediati da decine e decine di richieste, anche poco supportate da motivazioni; richieste di chi vuole una promozione magari solo perche’ “la loro tesi sulla storia dell’antica letteratura urdu è stata un colpaccio”.  Qui, i vertici devono essere compresi, spetta al sindacato proporre uno strumento efficace di selezione del personale e rendere vincolanti  i vari “job-posting e mappature,” e tutte le altre diavolerie messe in campo, ma che non funzionano. L’ultima è quella “Io ci metto la faccia”. Sui social –network i giornalisti RAI postano i loro lunghissimi curricula con tanto di foto e aspirazioni negate.  Da aziendalista convinto (quelli piu’pestati in RAI..) mi domando perché un sindacato storico, quello dei giornalisti RAI ,nell’azione sindacale preferisca limitarsi a spalancare le porte al modus operandi dei Cinque Stelle nella selezione del suo personale politico. Lasceremmo alla Rete la selezione di chi mandare agli uffici di corrispondenza di New York o Parigi? O i conduttori di Tg1,T2, Tg3? Qualcuno mi può rimproverare di essere prevenuto nei confronti di questo metodo preso in prestito, in una situazione di affanno sindacale, dal movimento di Beppe Grillo, ma non è così. Ci vuole un cambio di rotta radicale in RAI come nel Paese. E nel Paese, i grillini hanno indubbiamente interpretato bene il malessere. Non ho la sfera di cristallo, ma ci vuol poco per pensare che i grillini faranno presto tanti proseliti a Saxa e viale Mazzini. Nell’impotenza del sindacato.

(Lettera firmata)

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