Quelli della notte trent'anni dopo: si ride sempre da morire

Sono passati trent'anni dalla fine di Quelli della notte ma il tempo non scalfisce la comicità intelligente. La rievocazione del famoso programma da Fazio con Arbore

Quelli della notte trent'anni dopo: si ride sempre da morire
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Piero Montanari Modifica articolo

14 Giugno 2015 - 09.21


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di Piero Montanari

Sabato sera di inizio estate, me ne sto a casa, e spero nell’offerta televisiva per distrarmi un po’, ben sapendo che, in estate, tutti i programmi importanti vanno al mare (o in montagna) e i palinsesti diventano schizofrenici, perchè saltabeccano da una fiction di trent’anni fa a un Quark ‘d’antan’ dove Piero Angela sembra suo figlio Alberto e ci parla, con enfasi, di una recente scoperta del momento, oggi roba vecchia.

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Rai Tre trasmette l’ultima puntata di Che fuori tempo che fa e mi fermo perchè vedo, oltre Fazio e Gramellini, Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana, Nino Frassica e Maurizio Ferrini, per celebrare il trentennale di Quelli Della Notte, un programma che sarebbe entrato nella storia della tv, e poi del costume, e poi nella leggenda e nel linguaggio della gente, (un po’ come avvenne per l’altro programma radiofonico di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, Alto Gradimento), anche se andarono in onda soltanto 33 puntate, dal 29 aprile al 14 giugno 1985, inventando anche il palinsesto notturno televisivo che allora non c’era ancora.

Non mi piacciono le celebrazioni, sanno di muffa e di lodi sperticate, di nostalgia e velata tristezza: fa male vedere i segni del tempo sulle cose che ti sono piaciute, poi sugli altri, spesso mutazioni antropologiche tragicomiche come la tintura dei capelli di Arbore che in natura non esiste, o quella di Nino Frassica (frate Antonino da Scasazza), un nero di seppia che arriva solo a metà della testa, e immagini le tue mutazioni con orrore. E poi, pensi: “Roba vecchia, allora si rideva per nulla, come i ragazzini a scuola, avevamo lo spirito giusto per il cazzeggio, oggi siamo tutti abbacchiati dalle mazzate che ci riserva la vita, figuriamoci se mi scuciono un baffo…”

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Parte la rievocazione con i vecchi filmati di Quelli della Notte, dopo che Arbore, purtroppo entrando un po’ a cavolo nel brano, (“A Renzo, che fai, ma ancora mi squadri?”) aveva cantato la sigla “Ma la notte no” e Frassica ci aveva raccontato il programma della festa patronale di Scasazza, facendomi letteralmente star male dalle risate con i suoi strampalati calembour, e con Maurizio Ferrini che sembrava saltato fuori dalla Festa dell’Unità di Gabicce Monte del 1975, con ancora lo gnocchetto al sugo in bocca.

Ho ricominciato a ridere allo stesso modo, con il cazzeggio improvvisato di Quelli della Notte, ripartendo, come nulla fosse, dal quel 14 giugno 1985, cazzeggio che abbiamo sempre esercitato e nel quale ci siamo sempre riconosciuti. Ecco il motivo perchè ridiamo.

“Jam session di parole, come l’improvvisazione jazzistica”, definisce Arbore questa sua tv, fatto è che il divertimento, a distanza di trent’anni , era lo stesso identico. Segno che la comicità vera, quella fatta con intelligenza, non viene scalfita dal passaggio del tempo, anzi, ne viene arricchita, perchè finisci inevitabilmente per confrontarla con il tragico vuoto generale dal quale siamo pericolosamente circondati.

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