Intelligenza artificiale: uno strumento per ripensare l'organizzazione della nostra società?

Il dibattito sulla ChatGPT spinge ad una riflessione sulla direzione che ha intenzione di prendere la nostra società. Tra Apocalittici ed Integrati, è possibile usare le nuove tecnologie per ripensare il futuro della società?

Intelligenza artificiale: uno strumento per ripensare l'organizzazione della nostra società?
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21 Marzo 2023 - 17.16 Culture


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di Ludovico Conti

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Oggi non si fa che parlare ChatGpt e degli impatti che questa nuova declinazione dell’intelligenza artificiale sta avendo nella società contemporanea e nel prossimo futuro.

Umberto Eco, nella prefazione del suo celeberrimo Apocalittici contro Integrati scriveva “L’Apocalisse è un’ossessione del dissenter, l’integrazione è la realtà concreta di coloro che non dissentono”, mostrandoci le due facce della medaglia. Già nel 1964, ci faceva riflettere e ci apriva la strada per il futuro: “Allora la formula “Apocalittici e integrati” non suggerirebbe l’opposizione tra due atteggiamenti (e i due termini non avrebbero valore di sostantivo) ma la predicazione di due aggettivi complementari”.

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Benché se ne sia parlato già abbastanza, facciamo un piccolo quadro su cosa è ChatGPT. Un’intelligenza artificiale capace di dare risposte precise e dettagliate su una immensa mole di argomenti, tramite processi di calcolo ed un vasto database di dati estratti da internet riesce pure ad esprimersi con un linguaggio molto simile a quello umano anche se potremmo definirlo freddo. Riesce, in sostanza, a generare testo ed è addestrato su una enorme quantità di fonti, servendosi di una cosiddetta “architettura di rete neurale” per migliorarne la qualità delle risposte, rendendole quanto più simil umani e verosimili a livello logico e costruendole su un modello induttivo statistico a seconda delle fonti a cui fa riferimento.

Fin qui verrebbe quasi da dire: nulla di diverso da quanto già avevamo. Invece, ChatGPT viene osservato dal mondo come una nuova fase storia dei media. Il mondo culturale, quello del lavoro, la società che spazia dagli studenti agli operai, dagli scrittori agli accademici, i giornalisti e gli artisti si interroga, ponendo dubbi e riflessioni sulla direzione che questa tecnologia sta prendendo. Ed è qui, che a distanza di sessant’ anni dal famoso trattato di Eco, torna di nuovo il quesito ciclico che ci accompagna allo sviluppo dei media. Di fronte l’intelligenza artificiale siamo apocalittici od integrati?

I problemi sono davvero molti. Parlando con alcuni studenti universitari provenienti da ambiti diversi, ci si interrogava pure su come chiamare questa tecnologia, che gender attribuirgli. La ChatGPT od il ChatGPT? È una lei, un lui, un genderless o un genderfluid? Già da questa questione si osservano apocalittici ed integrati, chi trova surreale anche solo porsene una domanda a riguardo e chi lo trova perfettamente lecito. Che sia lei o lui, questa intelligenza artificiale, quando le si pongono domande in ambito di creatività, mette subito le mani avanti e ci dice che non è in grado di creare qualcosa da zero, rassicurando, in questo caso, gli apocalittici, riferendo che i creativi, gli operatori nell’ambito culturale ma anche scientifico che creano qualcosa di nuovo da zero, saranno tutelati.

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E su questo gli editoriali e le analisi accademiche sono molte e trasversali, da Alessandro D’Avenia nel Corriere della Sera, che ci ricorda come “il nuovo è generato solo dall’atto creativo che non si limita a comporre dati ma a farne di nuovi grazie ad una relazione inedita con il mondo”. Anche Holden Thorp, caporedattore di Science, in un editoriale chiamato ChatGPT è divertente ma non è un autore, osserva come la tecnologia sia in grado di dare risposte plausibili, con cui è possibile anche sperimentare combinazioni particolari ed avere risposte verosimili ma non vere ed attendibili scientificamente al cento per cento.

Un punto rilevante, anche se Thorp continua ponendo due questioni interne al mondo scientifico. Da un lato contestualizza nel presente il tema: viviamo in un momento in cui la credibilità scientifica si sta erodendo, abbiamo visto durante la pandemia lo sviluppo dei vari movimenti no vax tanto per dirne una, e quindi l’intelligenza artificiale è un mezzo da usare con grande prudenza.

Al tempo stesso, allarga la visuale e spinge gli accademici a riflettere su come impostare i nuovi corsi, cercando di stare al passo con il mondo; da un lato essere più innovativi, visto che la linea tracciata sembra portarci ad una sempre maggiore presenza delle intelligenze artificiali declinate nei vari modi, ma suggerisce anche ai professori di essere innovativi e creativi, essere più ingegnosi e fregare l’intelligenza artificiale giocando di anticipo.

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Un mezzo, uno strumento, un’ opportunità, ma sempre mantenendo l’attenzione sulle priorità e sui limiti che questa può avere in certi settori, ad ora quantomeno.

Dare una definizione di intelligenza artificiale è complesso proprio perché oramai non è meramente ristretta ad un singolo campo ma è interdisciplinare. La Treccani ci dice che “L’intelligenza artificiale (IA) è la capacità di un computer o di un robot di eseguire compiti tradizionalmente eseguiti da esseri intelligenti. Realizzare l’IA significa quindi sviluppare sistemi dotati delle funzioni tipiche dei processi intellettivi umani, quali percepire, associare un significato e ragionare su ciò che si percepisce, decidere, compiere azioni, comunicare o apprendere dall’esperienza”.

Può toccare dalla medicina all’ingegneria ma anche se utilizzata in altri specifici supporti può anche essere una intelligenza artificiale operativa. Sono tante le persone che comandano casa con Alexa, la domotica spinge verso quella direzione, di una intelligenza artificiale al servizio nostro.

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E’ usata, ad esempio, in agricoltura, si comandano i trattori con le intelligenze artificiali in tempo reale in cui il mezzo si muove in autonomia e ci da dati in tempo reale sullo stato dei campi, dei raccolti, sui problemi tecnici ed esegue i nostri comandi.

La riflessione va sempre di più allargandosi allora, su noi ed il nostro rapporto con i media. McLuhan, sociologo e punto di riferimento per gli studi di comunicazione, in Understanding Media nel 1964, stesso anno del testo di Eco, diceva che: “I media sono tutti quegli artefatti prodotti dall’uomo che estendono uno dei sensi. I media sono estensioni delle abilità dell’uomo.  I media alterano le forme di percezione del mondo. La tecnologia è parte dei nostri corpi”. Peters, teorico sociale e storico dei media, invece affermava: “I media organizzano il tempo, lo spazio e il potere: Registrano, processano, trasmettono sistemi simbolici, prodotti culturali. Sono veicoli che portano con sé e comunicano un significato.”

Il quadro si allarga sempre di più e, se mettessimo insieme queste due importanti citazioni portandole al presente, l’intelligenza artificiale, come media, estende sia uno dei nostri sensi come parte di nostri corpi ed al tempo stesso organizza il tempo, lo spazio ed il potere.

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Facendo un passo indietro per ampliare la visuale, se da una parte mettiamo in conto che comunque sia la creatività ed il generare qualche cosa di nuovo rimane in un ala a sé, un limite non valicato, dall’altro lato ci sono stati tanti limiti valicati e molto prossimo all’essere valicati.

Tornando sempre ad Apocalittici ed Integrati ed al fatto che sia una predicazione di due aggettivi complementari, torna in mente un politologo del King’s College, definito spesso controverso, Nick Srnicek. Nell’ottica in cui la tecnologia ed i media assumono un ruolo sempre più presente nelle nostre vite ed in maniera pervasiva, la questione, come spesso ribadito, ha generato tante preoccupazioni anche in campo economico e lavorativo. Le intelligenze artificiali ci sostituiranno come forza lavoro e quindi tanti posti di lavoro si perderanno?

Questa paura e queste paure legate al progresso tecnologico sono sempre esistite, capiamoci. Ogni nuova invenzione da un lato ha creato tanti posti di lavoro e tanti ne ha fatti perdere. Pensiamo in una redazione di un giornale ed a figure sparite per via del progresso come i litografi sostituiti ad esempio dalle prime persone in grado di lavorare con i computer. Anche il tema degli ambiti in cui il progresso tecnologico ha portato ad una sostituzione-evoluzione della classe lavoro non è nuovo. Il progresso, allora, da un lato diventa una costante preoccupazione, perché i prossimi ad essere sostituiti da una nuova professionalità potremmo essere noi, fino alla più grande della paure: una macchina, una intelligenza artificiale che ci sostituisce. Una ChatGPT ancora più intelligente e funzionale che può lavorare in ogni contesto del nostro mondo reale.

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Srnicek è famoso per aver sviluppato la teoria dell’accelerazionismo, secondo la quale la soluzione alle crisi economiche e sociali del capitalismo globale non sta nell’abbandono delle tecnologie e dei processi di produzione capitalistici, ma nella loro accelerazione e ulteriore sviluppo. L’attualizzazione della complementarietà di Eco, l’attualità di McLuhan e Peters sembra quasi che prendano una forma nelle teorie di Srnicek, tra distopia ed utopia.

E se invece di fare resistenza ed opporci al futuro, considerata l’ineluttabilità del processo tecnologico, cercassimo una soluzione per il futuro e presente? Se in questa tecnologocrazia, in cui la tecnologia assume un ruolo di potere e dominio (kratos-crazia), studiassimo un modo per conciliare la tecnologograzia con una società migliore? Utopia, forse.

Le intelligenze artificiali noi potremmo dominarle e, soprattutto, ci riprendessimo il comando senza relegarlo ai pochi eletti dell’attuale oligarchia di coloro che hanno il potere delle attuali tecnologie? Se le intelligenze artificiali ci migliorassero davvero la vita magari con un marxismo in cui le macchine lavorano per noi e l’automazione consenta un reddito universale?

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Il neoliberismo attuale ha alzato la qualità della vita media delle persone e, a livello sociale, ha creato tanti danni e problemi. Da Baumann fino ad oggi, la società si è sempre più disgregata perché il capitalismo ed il neoliberismo ci hanno implicitamente ed esplicitamente esposto ad una competizione gli uni con gli altri. Vita tua mors mea, ed una classe media che tende a sparire sempre di più; i ricchi sempre più ricchi (unica cosa certa) e la classe media che cerca di salire ma finisce schiacciata e si avvicina alla classe povera. Per non parlare dei prodotti del capitale sociale. Precarietà costante, la classe media povera che lavora con dei salari sempre più bassi e vite schiacciate dal lavoro.

Un tempo si lavorava per vivere, ora si vive per lavorare. Ore di occupazioni che aumentano e lavori in cui non si stacca neanche al di fuori dell’orario di lavoro. Qualcuno potrebbe dire che sia una cosa positiva, uno stimolo. Una volta parlando con una scrittrice, giornalista lei mi disse:” io ho avuto la disgrazia di avere un posto fisso, voi avete la possibilità del precariato”. È un punto di vista. In parte, si potrebbe pure concordare. Ma se, invece, le macchine e le intelligenze artificiali fossero finalmente l’occasione per uscire dal precariato e con il loro sviluppo potessimo ottenere non un salario minimo (che in Italia manco si riesce ad ottenere ancora oggi) ma un salario universale? Non negare la tecnologia, non contrastarla ma trovare un modo in cui questa si incastri in quella che dovrebbe essere l’ottica comune: migliorare la qualità delle nostre vite.

Peters ci diceva bene che i media sono campo di potere e per questo, questo stesso potere, va tolto alla tua oligarchia ed il popolo deve tornare ad essere attore principale della storia. Con un salario universale, la gente sarebbe in grado di poter scegliere come impiegare davvero il proprio tempo, scegliere che lavoro voler fare. ChatGPT e le intelligenze artificiali non potranno mai sostituire le capacità di intelletto umane, ma se invece di combatterle trovassimo finalmente la via per migliorare le nostre vite e ripensare i problemi dell’attuale modello sociale-economico, a chi farebbe del male?

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