L'appello di chi è in trincea col camice: l'Occidente cancelli il debito dei paesi poveri

In occasione del G20 dei Ministri delle Finanze, sono oltre 1.000, tra medici, infettivologi, infermieri, rianimatori, impegnati in 66 paesi, firmatari di una lettera per chiedere di aiutare i paesi in via di sviluppo.

Un ospedale in Africa
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Novembre 2020 - 18.28


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Solidarietà nell’era della pandemia, dare un senso concreto al mantra del “di fronte al virus siamo tutti sulla stessa barca”, si traduce così: cancellare il debito dei paesi in via di sviluppo. A chiederlo. In occasione del G20 straordinario dei Ministri delle Finanze, sono oltre 1.000, tra medici, infettivologi, immunologi, infermieri, virologi, rianimatori, impegnati in 66 diversi paesi, firmatari di una lettera per chiedere la cancellazione del debito dei paesi in via di sviluppo.

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L’iniziativa, promossa e coordinata da Oxfam, serve  a ribadire che, solo liberandosi dal peso del debito, i paesi più poveri potranno destinare risorse alla lotta contro il Covid-19, investendo in sistemi sanitari che possa essere in grado di far fronte alla pandemia. Attualmente molti governi spendono più per la restituzione del debito che per la sanità, mentre l’Iniziativa di sospensione del debito del G20 rinvia solo una frazione dei pagamenti – inclusi gli interessi – a metà del 2021.

Tra i firmatari dell’appello vi sono Nisreen Alwan, professore associato dell’Università di Southampton, Regno Unito, Christophe Prudhomme, medico di pronto soccorso e portavoce dell’associazione Medicina di emergenza, Francia, Trisha Greenhalgh, primario del dipartimento Scienza della salute dell’Università di Oxford, Regno Unito, Francis Mupeta, Capo del dipartimento Malattie infettive dell’Università Teaching, Zambia.  

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Tra gli italiani, l’infettivologo Stefano Vella, professore presso l’Università Cattolica di Roma ed ex direttore del Centro Nazionale per la Salute Globale presso l’Istituto Superiore di Sanità.

“L’attuale pandemia ha portato alla luce le drammatiche disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitarie la debolezza, anche nella raccolta dati, dei sistemi sanitari di molti paesi in via di sviluppo.- spiega Vella –  E’ fondamentale perciò che questi paesi, con proprie risorse, possano rafforzare le strutture, aumentare e migliorare la preparazione del personale per essere pronti a far fronte a malattie vecchie e nuove, assicurando la salute dei propri cittadini e di conseguenza lo sviluppo delle proprie economie”.

“In una fase in cui i sistemi sanitari sono in grande sofferenza a causa della pandemia Covid-19, è surreale  che i paesi più poveri debbano pagare 3 miliardi di dollari al mese per risanare il loro debito con i paesi ricchi, i fondi d’investimento e la Banca mondiale, mentre si aggrava il livello di povertà della popolazione–  aggiunge Sara Albiani, policy advisor per la salute globale di Oxfam Italia  – L’iniziativa di sospensione del debito scalfisce appena la superficie dei reali bisogni, soprattutto perchè non include i creditori privati che continuano a ricevere rimborsi dai paesi in via di sviluppo. Le unità di terapia intensiva necessitano di medici, infermieri, strumentazione ora. Per questo il debito deve essere cancellato, i rinvii non fanno altro che spostare più avanti nel tempo i problemi, amplificandoli senza trovare reali soluzioni.”

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Risorse cruciali per salvare migliaia di vite

Già prima della pandemia, a livello globale, c’era una carenza di 17,4 milioni di operatori sanitari, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito.

 La situazione più critica è in Africa a causa di una strutturale carenza di dispositivi, attrezzature e personale medico. In media, in tutto il continente, ci sono 2,8 medici e 11 infermieri ogni 10.000 abitanti con quasi 1,9 milioni di contagi registrati, a fronte dei 33,8 medici e 80,6 infermieri dell’Europa.

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 Dall’analisi di Oxfam emerge quindi come la cancellazione del debito solo per quest’anno, potrebbe rendere disponibili tre anni di stipendio per assumere:

• 14.000 infermieri in più in Malawi, dove attualmente ce ne sono appena un quarto di quelli necessari a rispondere alla pandemia;
• 24.500 medici in Ghana, dove attualmente ce ne sono appena un quinto di quelli indispensabili a rispondere ai bisogni della popolazione;
• 47.468 infermieri in più in Repubblica Democratica del Congo, un paese che ne sta impiegando circa la metà del necessario.

 Al momento non esiste un accordo comune a livello globale per i paesi su cui pesa un forte debito estero e molti sono lasciati da soli a dover affrontare i creditori. In questo quadro, la procedura comune di ristrutturazione del debito, che sarà discussa oggi nella riunione straordinaria del G20 Finanze – sottolinea Oxfam –  sarà efficace solo se sarà vincolante e alle stesse condizioni verso tutti i creditori bilaterali, multilaterali e privati.

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 “Lanciamo un appello urgente ai paesi del G20, – conclude Albiani –  perché si arrivi ad una cancellazione permanente del debito. Misure transitorie, non fanno altro che rinviare il problema. L’emergenza sanitaria globale che stiamo vivendo richiede misure radicali e senza precedenti da parte dei paesi ricchi. Le sole che consentiranno di salvare tantissime vite nei paesi poveri nei prossimi anni”.

Una generazione perduta

Nei paesi più poveri il Coronavirus sta ampliando le disuguaglianze esistenti, producendo una “generazione perduta” di bambini e allontanando il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Solo nel 2020 infatti 117 milioni di bambini in più, al mondo, potrebbero cadere in povertà; 9,7 milioni di minori rischiano di non tornare mai più a scuola, 80 milioni di bambini rischiano di non poter ricevere vaccini essenziali. Ma le gravi conseguenze sui bambini non risparmiano neanche un paese sviluppato l’Italia: entro la fine dell’anno nel nostro Paese 1 milione di minori in più potrebbero scivolare nella povertà assoluta, il doppio rispetto a quelli del 2019. 

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È l’allarme lanciato da Save the Children, nel nuovo rapporto Protect a generation, risultato di una vasta indagine in 37 Paesi al mondo tra gli oltre 25 mila bambini e adulti coinvolti nei programmi di intervento. Tre famiglie su 4 hanno dichiarato di aver perso parte del proprio reddito, 2 su 3 non riescono a sfamare adeguatamente i propri figli e 9 su 10 non possono accedere alle cure mediche. Ad essere più colpite soprattutto i nuclei già in povertà prima della pandemia: tra queste l’82% ha subito diminuzioni del reddito rispetto al 70% delle famiglie non povere. 

Gravissime le conseguenze anche sul fronte dell’educazione, con 8 bambini su 10 che con la chiusura delle scuole hanno interrotto del tutto ogni forma di apprendimento e solo meno dell’1% dei minori più poveri che ha accesso a internet e alla didattica a distanza. E in Italia 1 genitore su 10 crede di non potersi permettere l’acquisto di tutti i libri scolastici, e 2 su 10 temono di non poter più sostenere il costo della mensa scolastica. Bambine e bambini privati, nel mondo, della possibilità di studiare, dunque. E sempre più esposti al rischio di subire violenze, anche in casa, e di essere costretti ad andare a lavorare per aiutare le famiglie: una condizione che incrementa ancora di più i gender gap, facendo pagare il prezzo più alto alle ragazze e alle bambine, che con la pandemia hanno dovuto occuparsi sempre più delle faccende domestiche (nel 63% dei casi, contro il 43% per i maschi).

“Una delle conseguenze più drammatiche è che molti bambini non torneranno più a scuola – afferma Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children – perché la povertà estrema nella quale sono cadute le famiglie li esporrà al lavoro minorile e al rischio di abusi e violenze. Un rischio ancora maggiore per le ragazze più giovani, la cui unica possibilità rischia di essere quella di sposare un uomo molto più grande di loro e fare dei bambini quando loro stesse sono ancora delle bambine”.

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Sistemi sanitari al collasso e cure mediche negate

Già prima della pandemia, 5,3 milioni di bambini morivano in un solo anno prima di aver compiuto i 5 anni di età, di cui più della metà per cause facilmente curabili e prevenibili, come malaria, diarrea o polmoniti. E ad essere penalizzati erano soprattutto i bambini delle famiglie più povere, con più del doppio delle probabilità di perdere la vita prima del quinto anno di età rispetto ai coetanei dei nuclei più benestanti. Numeri che con la pandemia e il collasso dei sistemi sanitari, in contesti già di per sé fragili, rischiano di aggravarsi drasticamente. Secondo Save the Children, 80 milioni di bambini al mondo rischiano di non avere accesso ai normali vaccini. Quasi 9 famiglie su 10 tra quelle intervistate (89%) sta incontrando notevoli ostacoli nell’accesso a cure mediche e medicinali, percentuale che sale al 95% tra le famiglie con bambini con problemi di salute cronici e al 96% tra quelle con minori con disabilità, a causa della chiusura delle strutture o della sospensione di molti servizi. In moltissimi casi, il principale ostacolo all’accesso alle cure è di natura economica: il 93% delle famiglie che a causa del Covid ha perso più della metà del proprio reddito non riesce ad accedere ai servizi sanitari, quasi la metà non ha i soldi per pagare le medicine. 

Allerta per l’aumento della malnutrizione

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Con 135 milioni di persone al mondo che stavano già subendo sulla propria pelle le conseguenze di una grave condizione di insicurezza alimentare – tra cui 114 milioni di bambini sotto i 5 anni affetti da malnutrizione cronica e 14 milioni colpiti da forme acute di malnutrizione – è molto alto il rischio che la pandemia di Covid-19 possa portare a un notevole aggravamento della crisi. A causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari e della perdita di risorse economiche, molte famiglie non riescono più a sfamare i propri figli. Quasi 2 famiglie su 3 (62%) tra quelle coinvolte nell’indagine di Save the Children hanno difficoltà nel reperire cibo nutriente, come carne, latte, cereali, frutta e verdura e in oltre la metà dei casi (52%) la causa è il prezzo troppo alto. Una situazione che riguarda in particolar modo i bambini e le famiglie che vivono nelle aree urbane.

Ancora più bambini fuori dalla scuola

La chiusura delle scuole in seguito alla pandemia ha riguardato quasi il 90% di tutti gli studenti al mondo e quasi 10 milioni di bambini– si legge nel rapporto dell’organizzazione – rischiano di non farvi più ritorno, sempre più esposti, così, a rischi maggiori di subire violenze e sfruttamento, di essere costretti ad andare a lavorare per aiutare le famiglie o a sposarsi prematuramente rinunciando così alla propria infanzia. Con le scuole chiuse più di 8 bambini su 10 hanno detto di non aver più imparato nulla o quasi nulla, 2 su 3 non hanno avuto più alcun contatto con gli insegnanti e, tra i bambini delle famiglie più povere, meno di 1 su 100 ha accesso a internet per la didattica a distanza, contro il 19% dei bambini non in povertà.

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In questa situazione apocalittica, cancellare il debito dei paesi più poveri è il minimo dovuto se si ha ancora un barlume di umanità.

 

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