Silvestri: "I numeri non si discutono, il virus è diventato più 'buono'"

Il virologo docente alla Emory University di Atlanta: "l'ipotesi di una intrinseca riduzione della gravità clinica di Covid-19 in Italia è quella che spiega nel modo più parsimonioso i dati attualmente a nostra disposizione".

Guido Silvestri
Guido Silvestri
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18 Maggio 2020 - 14.32


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Se il Sars-CoV-2 sia diventato più ‘buono’ o meno il dibattito è aperto. Per ‘buono’ intendiamo ovviamente una diminuizione della gravità clinica della Covid-19 e i primi ad aver proposto un simile scenario sono stati il virologo Massimo Clementi e il direttore dell’Ircss Giuseppe Remuzzi, che sono però stati duramente attaccati di fare ‘pseudoscienza’ solo “per aver espresso una loro opinione basata sulle loro esperienze cliniche” come afferma Guido Silvestri, virologo italiano docente alla Emory University di Atlanta, in quella che chiama ‘Pillola (straordinaria) di ottimismo’ – la penultima del bollettino-rubrica con cui per settimane ha cercato di spiegare al pubblico social i fatti chiave dell’emergenza coronavirus.
“Siccome a me piacciono i numeri e i dati – spiega Silvestri – sono andato un pochino a sfruculiare nei dati pubblici della Protezione civile. Cosi’ ho ‘plottato’ per il periodo dal 29 febbraio al 17 maggio il rapporto in percentuale tra pazienti in terapia intensiva per Covid-19 e totale casi positivi”. Rilevando come “questo valore, che uso come indice crudo della gravità clinica ‘media’ dei casi di infezione con Sars-CoV-2”, sia stato “intorno all’8-10% per i primi 20 giorni dell’epidemia”, iniziando poi a “calare regolarmente: al momento è 1,1%. Questi sono numeri e su questi non si discute”, chiosa lo scienziato.
Ma questi numeri come vanno interpretati? “Ho deciso di considerare tre fattori – prosegue Silvestri – e di focalizzarmi sugli ultimi 50 giorni (dal 30 marzo al 17 maggio) per evitare il ‘confounding factor’ del sovraccarico ospedaliero, verificatosi soprattutto a marzo, e noto per ridurre l’efficacia delle terapie di supporto”. Ebbene, “in questi ultimi 50 giorni il rapporto tra ricoverati in terapia intensiva e casi totali è passato da 5,5% a 1,11%”.
Per lo scienziato “il primo fattore da considerare, ovviamente, è il numero di tamponi fatti, perché uno potrebbe dire: se fai più tamponi, scopri più positivi asintomatici o lievi e questo spiega tutto. Sono andato a controllare ed ecco qui il numero di tamponi eseguiti in media per giorno nei 5 blocchi di 10 giorni qui considerati: 32.591,9 (da -50 a -41 giorni), 48.866,3 (da -40 a -31 giorni), 54.555,4 (da -30 a -21 giorni), 59.162,6 (da -20 a -11 giorni) 62.367,2 (da -10 a ieri). Quindi il numero medio dei tamponi fatti per giorno è aumentato di un fattore poco meno di 2, il che” per il virologo “spiega in modo solamente parziale una riduzione del rapporto ricoveri in terapia intensiva/totale casi di un fattore 5”.
“Il secondo fattore – continua Silvestri – è un possibile migliorato trattamento dei soggetti asintomatici una volta diagnosticati. Avendo escluso il ‘sovraccarico ospedaliero’ come fattore di terapia sub-ottimale, e considerando l’assenza totale di evidenza clinica a favore di trattamenti precoci, l’uso sporadico del remdesivir in Italia e il fatto che l’efficacia clinica della clorochina appare sempre meno probabile, si può concludere che questa ipotesi non sia affatto parsimoniosa”.
Infine, “il terzo fattore” preso in esame dallo scienziato “è quello di un andamento intrinsecamente migliore della malattia, che può essere spiegato come perdita di virulenza da parte del virus (al momento non dimostrata in vitro o nell’animale da esperimento, ma ipotizzabile sulla base del noto fenomeno del co-adattamento tra virus e ospite) e/o come infezioni meno severe in quanto causate da inoculo virale più basso per le più alte temperature ambientali (consistente con la ben nota stagionalità dei virus respiratori)”.
“Come sempre spero che ognuno faccia le sue considerazioni senza lasciarsi andare a frasi ingiuriose, perché nel nostro ambiente la parola pseudoscienza è un insulto”, fa notare. Ma “a mio avviso – conclude appunto Silvestri – l’ipotesi di una intrinseca riduzione della gravità clinica di Covid-19 in Italia è quella che spiega nel modo più parsimonioso i dati attualmente a nostra disposizione”.

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