La storia incredibile di Luca Paladini e la sua famiglia: si ammalano tutti di Covid-19

L'attivista milanese ha passato e continua a vivere un calvario. L'emergenza c'è ancora e non possiamo fermarci adesso

Luca Paladini
Luca Paladini
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8 Maggio 2020 - 15.36


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“Io vedevo degli astronauti entrare nella mia stanza d’ospedale. Potrei incontrare per strada il medico che mi ha salvato la vita e non lo riconoscerei”.

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A parlare è Luca Paladini, 50 anni, blogger e attivista milanese. Si è ammalato di Covid-19 insieme alla sua famiglia: suo padre e sua madre. 

La madre di Luca è stata la “paziente zero” della famiglia: si recava in ospedale per le cure di chemio ma era asintomatica, così passa il virus al marito, 84 anni, verso fine marzo.

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Il padre comincia ad avvertire i sintomi da coronavirus: febbre, difficoltà respiratorie e si reca all’Ospedale di Sesto San Giovanni dove viene dimesso dopo 7 ore, senza tampone, con una diagnosi che rileva una “semplice” bronchite.

 Dopo due giorni il padre di Luca torna all’ospedale San Carlo di Milano con sintomi più gravi e questa volta gli esami riportano una polmonite bilaterale e la positività al Covid-19. Di conseguenza viene fatto il tampone al resto della famiglia, la moglie e il figlio, alla prima viene dato il risultato di positività dopo 3 minuti, Luca dovrà aspettare.

Le condizioni del padre di Luca peggiorano vertiginosamente: “Signor Paladini, suo padre ha avuto un collasso ai polmoni è questione di ore”. E gli viene data la possibilità di salutarlo, un’ultima volta, per telefono con una videochiamata.

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Luca non sa cosa fare, dire la verità alla madre? Comunicarle che il suo amore di una vita se ne stava andando e poteva salutarlo solamente in maniera virtuale?

Luca decide per la cruda verità e chiamano il padre: la telefonata è confusa, il padre non è lucido e i “ti voglio bene” di Luca e la madre sono strappati dalle lacrime e dai groppi in gola.

Nel frattempo arriva il responso del tampone di Luca: negativo. Lui e la madre tornano a casa, preoccupati che a breve arriverà la notizia della morte del padre.

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Per fortuna la chiamata non arriva e non arriverà mai, ma Luca inizia ad avvertire gli stati febbrili il mattino successivo. Lui non si preoccupa, l’importante è che il padre non sia in pericolo di vita. Un uomo immunodepresso di 84 anni, con leucemia cronica, meravigliosamente è in via di guarigione.

Luca torna in ospedale con la febbre che non cala: effettua nuovamente il tampone e risulta nuovamente negativo, anche l’ecografia conferma l’estraneità al virus.

Un medico solerte decide comunque di fare una tac, a questo punto emerge la presenza di una polmonite.

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Un terzo tampone conferma la positività al coronavirus e viene ricoverato al San Carlo. I primi giorni li trascorre in terapia sub- intensiva e passa le notti con il casco per respirare e la febbre con temperatura superiore ai 39 gradi.

“Ho avuto paura di morire. Ero spaventato da tutti quei non so dei medici”. I dottori pensano di fargli firmare il consenso per l’intubazione, poi comincia la terapia con un farmaco sperimentale e la sua condizione migliora.

Nella stanza di Luca arriva un paziente di 41 anni grave, a lui viene fatta subito firmare la liberatoria per l’intubazione. Luca intanto è lucido e cosciente di ciò che gli succede attorno.

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L’uomo di 41 anni, un giorno scambiando due chiacchiere con Luca gli dice: “Promettimi che ci rivediamo”. Purtroppo Luca non potrà mantenere la promessa perché non vedrà più il suo “compagno” di ospedale.

Luca adesso è stato dimesso e si trova in isolamento in attesa del tampone che dichiari definitivamente la negatività. Il padre è stato un guerriero e ce l’ha fatta ma essendo immunodepresso risulta ancora positivo e verrà messo in una struttura riabilitativa. Luoghi che oggi fanno paura perché possono far nascere dei focolai.

La madre, positiva e asintomatica, non si sottopone alle cure di chemio da 45 giorni: la chemio immunodeprime un corpo e se hai un virus rischi di risvegliarlo.

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Luca si batteva e continua a battersi per i diritti civili. La sua storia l’ha voluta rendere pubblica per far capire cosa significa questa malattia, e che non è uno scherzo.

L’emergenza non è finita e i cittadini devono essere responsabili per il lavoro degli ospedali, per la comunità e per Luca.

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