Siamo un paese dalla memoria corta: il coronavirus lo dimostra ogni giorno
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Siamo un paese dalla memoria corta: il coronavirus lo dimostra ogni giorno

Sul coronavirus si ascolta tutto e il contrario di tutto. Ci arrivano messaggi uno più contraddittorio dell'altro. Si osservano giravolte indecorose. Politici, ma anche scienziati.

Attilio Fontana
Attilio Fontana
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Claudio Visani Modifica articolo

5 Aprile 2020 - 14.54


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Siamo un paese dalla memoria corta, lo sappiamo. Da Mussolini faceva anche cose buone a Roma ladrona la Lega non perdona, dai nostri emigranti del secolo scorso al Papeete, per dire. E anche sulla tragedia della pandemia che ci ha colpito non ci smentiamo. Sul coronavirus si ascolta tutto e il contrario di tutto. Ci arrivano messaggi uno più contraddittorio dell’altro.

Si osservano giravolte indecorose.

A distinguersi di più sono i politici, ma anche gli scienziati ci mettono del loro. Così mi è venuta voglia di fare qualche post-it, di scrivere questo stupidario prima che anch’io me ne dimentichi.

Fine gennaio, Matteo Salvini. “Blindare i confini. Chiudere accessi via aria, terra e mare. Bloccare i voli dalla Cina e chiudere i porti agli immigrati per tenere lontano il virus”. Pochi giorni dopo scoppiano i primi casi in Lombardia e Veneto. Si scoprirà poi che il contagio non è arrivato dai cinesi o dai barconi di immigrati, ma dai lombardi giramondo: che il “paziente uno” è di Codogno e il “paziente zero”, probabilmente, un lombardo che si è infettato in Baviera.

24 febbraio, Attilio Fontana, governatore della Lombardia: “Il coronavirus è poco più di una normale influenza. Cerchiamo di sdrammatizzare, è una situazione senz’altro difficile ma non così tanto pericolosa. Il virus è molto aggressivo nella diffusione ma molto meno nelle conseguenze. Bisogna far capire ai cittadini che si può continuare a vivere, anche se con delle cautele e qualche piccola rinuncia”.

26 febbraio, Maria Rita Gismondo, virologa e microbiologa dell’ospedale Sacco di Milano: “È una follia questa emergenza. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Fra una settimana non parleremo più di coronavirus, ne farò un ciondolo”.

28 febbraio, Luca Zaia, governatore del Veneto: “Sapete perché noi dopo una settimana di emergenza coronavirus abbiamo così pochi contagiati e ricoverati? Perché le nostre condizioni igieniche non sono paragonabili a quelle della Cina. Li abbiamo visti tutti i cinesi mangiare topi vivi”.

27 febbraio, una stretta collaboratrice di Attilio Fontana risulta positiva al virus. Il governatore della Lombardia in una diretta Facebook si fa riprendere mentre indossa maldestramente una mascherina protettiva, mettendola alla rovescia. Poi annuncia che si metterà in autoquarantena. Il video farà il giro del mondo. Dopo pochi giorni Fontana riapparirà in tivù e non ne uscirà più.

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17 marzo, Vittorio Sgarbi: “Non esiste alcuna epidemia, è tutta una grande finzione. Basta un tè caldo ed il virus muore. Questo è il virus del buco del culo. E’ il Capravirus. Un’influenza, un banale raffreddore. Andate in giro, non vi capiterà un cazzo”.

27 febbraio, Matteo Salvini, che un mese prima voleva blindare il Paese, in un’altra diretta Facebook dice: “l’Italia riparte. Basta blocchi, chiusure o zone rosse. Riaprire fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, centri commerciali. Chiediamo al governo di accelerare, riaprire, aiutare, sostenere. La Lega ha presentato decine di proposte. Accelerare, riaprire, ripartire”.

27 febbraio. Giuseppe Sala, sindaco di Milano, rilancia nella sua pagina Facebook il video spot “Milano non si ferma” che recita. “Milano, milioni di abitanti. Facciamo miracoli ogni giorno. Non abbiamo paura. Milano non si ferma. L’Italia non si ferma”. Indosserà anche la maglietta con quello spot. Poi, un paio di settimane dopo, farà autocritica: “E’ stato uno sbaglio, in quel momento nessuno aveva ancora capito la virulenza del coronavirus”.

27 febbraio, Nicola Zingaretti, segretario Pd e governatore del Lazio partecipa a un aperitivo sui Navigli con i giovani democratici. Su Instagram posta una foto in mezzo a diverse persone, tra spritz e tramezzini, e dice: “Ho raccolto l’appello lanciato dal sindaco Sala. Non perdiamo le nostre abitudini, non possiamo fermare Milano e l’Italia”. Pochi giorni dopo risulterà positivo al virus, contratto probabilmente proprio per quell’iniziativa irresponsabile.

15 marzo, Matteo Salvini viene sorpreso a passeggio per il centro di Roma con la fidanzata Francesca Verdini. I due si tengono per mano, non portano la mascherina e non mantengono la distanza di sicurezza di almeno un metro. La clausura è in vigore già da una settimana in tutta Italia. Bar e negozi sono chiusi, tranne i market. Per uscire serve la giustificazione. Lui si giustifica dicendo che è andato a fare spesa. In via del Tritone non ci sono negozi di alimentari.

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20 marzo, Matteo Salvini (spalleggiato da Giorgia Meloni): “Chiudere tutto per ripartire sani. In Italia e in Europa. Meglio chiudere tutto per 15 giorni, prima che sia troppo tardi. Lo dico da settimane (senza vergogna, ndr), chiudere tutte le attività non vitali. Agire subito. Se il governo non ci ascolta faremo da soli, ci penseranno i nostri governatori”.

28 marzo, Matteo Renzi, leader di Italia Viva, in una intervista ad “Avvenire” lancia il seguente appello: “Riapriamo. Perché non possiamo aspettare che tutto passi. Perché se restiamo chiusi la gente morirà di fame. Perché la strada sarà una sola: convivere due anni con il virus. Serve un piano per la riapertura e serve ora. Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi il resto. I negozi, le scuole, le librerie, le chiese. Bisogna riaprire. Anche le scuole devono ripartire a maggio, almeno per le classi di terza media e quinta superiore”.

4 aprile, Matteo Salvini a Sky Tg24: “Non vedo l’ora che la scienza e anche il buon Dio, perché la scienza da sola non basta, sconfiggano questo mostro per tornare a uscire. Ci avviciniamo alla Santa Pasqua e occorre anche la protezione del Cuore Immacolato di Maria. Sostengo le richieste di coloro che chiedono di far entrare i fedeli in chiesa, in maniera ordinata”.

Mascherine sì mascherine no.

Gennaio-febbraio, all’inizio della pandemia la raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è la seguente: “La mascherina se indossata da sola non ha effetto e non è efficace contro il virus. Andrebbe usata solo se si hanno sintomi come febbre, tosse e affanno. Se non si hanno sintomi è inutile indossarla”.

Il nostro Ministero della sanità precisa: “La mascherina non è necessaria per la popolazione generale in assenza di sintomi di malattie respiratorie”.

Il virologo Roberto Burioni chiarisce: “Questo virus si trasmette attraverso delle goccioline che però hanno un raggio d’azione di un metro. Per le persone che stanno bene non c’è bisogno di mettere la mascherina. La deve mettere chi sta male. Non forniscono alcuna protezione dal coronavirus. Servono a non far diffondere il virus da parte di chi lo ha già contratto”.

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Il consulente scientifico del Ministero della salute, Walter Ricciardi, è ancora più netto: “Le mascherine chirurgiche ai sani non servono a niente, il virus penetra attraverso la garza. E’ una paranoia. E le persone le usano in maniera impropria. Poi ci sono le mascherine del tipo FP2-FP3 (con filtro, ndr) che servono al personale sanitario e alle forze dell’ordine”.

4 aprile, Attilio Fontana firma l’ordinanza che impone l’obbligo ai cittadini della Lombardia che escono da casa, a partire da domenica 5, “di indossare la mascherina o comunque una protezione su naso e bocca, per proteggere sé stessi e gli altri” E aggiunge che in mancanza di mascherine, “ci si potrà coprire naso e bocca con semplici foulard e sciarpe”.

Il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, dice: “Io la mascherina non la metto, osservo le distanze di sicurezza”.

Tamponi sì tamponi no

All’inizio della pandemia la parola d’ordine dell’Oms è: “Più tamponi, fate più tamponi”. Ma il sistema sanitario non è in grado di reggere: mancano laboratori, reagenti, personale. Così arrivano le direttive del nostro Ministero della salute per farli solo ai sintomatici. Per due mesi si fanno solo a chi ha tutti e tre i sintomi del coronavirus: febbre, tosse e difficoltà respiratori. In pratica solo ai moribondi in ospedale. E nemmeno al personale sanitario che non a caso registra un tasso altissimo di contagiati.

Poi ogni Regione va per conto suo. Dal Veneto che li vuole per tutti gli abitanti di Vo’ sostenendo la linea “più tamponi per tutti”, alle regioni del Sud che ne hanno fatto finora pochissimi. Infine arriva il contrordine: “Tamponi anche a chi ha un solo sintomo del virus”. E finalmente si comincia ad allargare il campo. Del resto, se si vuole davvero fermare la diffusione del virus, l’arma più efficace, anche se complessa, è quella delle diagnosi preventive, di cercare i contagiati e isolare i loro contatti. In Emilia-Romagna ai tamponi si preferisce il test sierologico, per scoprire a posteriori chi ha contratto il virus e sviluppato gli anticorpi.

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