Coronavirus, usciti dal coma non potremo essere gli stessi
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Coronavirus, usciti dal coma non potremo essere gli stessi

Bisognerà riposizionare i paletti dell'economia, l'uomo e il suo desiderio di consumi dovranno cambiati, saranno cambiati, dovranno essere diversi.

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Onofrio Dispenza Modifica articolo

23 Marzo 2020 - 09.20


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Sarebbe grave non capire il livello della partita che saremo chiamati a giocare nelle prossime settimane. Occorre prendere coscienza che quando il nostro Paese uscirà da quest’incubo sarà come quell’individuo che ha visto la morte con gli occhi, e uscito dal coma si ritrova radicalmente diverso. Cambiato nei pensieri, nei valori, nello stile di vita.

Lo dico a proposito del discutibile e stolto braccio di ferro sull’estensione della sospensione delle attività economiche. Che l’industria abbia preoccupazione del futuro delle imprese è giusto e ci sta. Così deve essere. Che il sindacato, come il governo, pensino – con qualche ritardo – alla salute dei lavoratori e delle loro famiglie è cosa buona e giusta.

Quello che manca, mi pare, in queste ore, è la capacità di mettersi velocemente attorno ad un tavolo ( metaforico ) per pensare un’Italia del lavoro e dell’impresa completamente diverso. Uscendo dal coma non potremo lasciare tutto come era e come rischiamo di lasciarlo. Sarebbe stolto e suicida, sarebbe come se il virus ci avesse tolto davvero, per sempre la capacità di respirare, spegnendo anche i nostri neuroni. Dobbiamo cambiar tutto, dentro di noi e fuori, anche per il sistema produttivo, le linee guida del nostro sistema.

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Bisognerà riposizionare i paletti dell’economia, l’uomo e il suo desiderio di consumi dovranno cambiati, saranno cambiati, dovranno essere diversi. Quando si esce da un coma accade anche questo, dicono. E questa “rivoluzione” anche per evitare che tutto possa accadere ancora una volta. Lo sforzo dell’impresa e del lavoro dovranno puntare, con passo comune, soprattutto a tre temi perno del futuro prossimo: ambiente, salute, nuova dimensione del lavoro. E ricerca, innovazione e produzione dovranno essere al servizio di queste linee guida.

Dovremo curare le ferite dell’ambiente e dell’uomo, quelle fisiche e quelle che attengono la psiche. Il nuovo mondo dovrà essere il frutto di una riflessione collettiva, corale, anche e ai massimi livelli, non delegata solo ai soliti analisti economici guidati dal profitto e dal denaro che crea denaro, non solo dai giochini meschini della politica miseramente scritta con la p minuscola. E quest’ultimo mi appare uno dei rischi maggiori.

Occorreranno coscienza civile e sociale (help, giovani!), lo spirito della migliore impresa della quale l’Italia ha scarsa memoria ( penso ad Olivetti ), della più moderna rappresentanza sindacale, ma con loro anche chi ci ha avvertito sui rischi dei grandi e rovinosi cambiamenti ambientali, chi scruta la psiche, e i filosofi, si, come accadeva in altri tempi dove l’orizzonte dell’uomo era importante più di un bilancio industriale.

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