Cosa insegna il Coronavirus? Meno F35, più sanità e servizi pubblici
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Cosa insegna il Coronavirus? Meno F35, più sanità e servizi pubblici

Se grazie agli eroi che la combattono nelle corsie e anche grazie alla responsabilità di chi resta a casa vinceremo qusta battaglia potremo ridefinire le priorità istituzionali e sociali.

I balconi al tempo del Coronavirus
I balconi al tempo del Coronavirus
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Chiara D'Ambros Modifica articolo

14 Marzo 2020 - 16.32


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Ore 18 di ieri 13 marzo 2020: musica e conti risuonano dai balconi di tutta Italia. C’è chi lo ritiene inadeguato e si appella a un doveroso rigore e una auspicata sobrietà, chi lo trova infantile e che porti lontano dalla consapevolezza di quanto sta succedendo. Altri sono commossi e grati per quelle note.
Dalla sua casa di Roma Giuliano Sangiorgi suona e canta “Meraviglioso”, a Milano il trombettista Raffaele Kholer suona “O mia bela Madunina”, in tanti quartieri risuona l’inno nazionale.
Attaccati da questo nemico invisibile, tutti siano concordi che i veri eroi attuali sono coloro che salvano le vite non quelle che le minacciano. Sono quelli armati di dedizione, professionalità, competenza e amore per il prossimo, dediti – è proprio il caso di dirlo – alla cura, non mossi da necessità di conquista o la difesa attraverso la negazione dell’altro. Sono questi gli eroi che sono stati applauditi da tutte le case d’Italia oggi 14 marzo, a mezzogiorno. Non sono certo eroi ma contribuiscono alla vittoria di questa battaglia, coloro che restano a casa, affinché il contagio non si diffonda. In questo contesto sentire echeggiare nell’aria il nostro inno c’è un momento però che fa vacillare, il punto dell’Inno in cui si dice “siam pronti alla morte”.
In questa lotta contro il Covid19, la vittoria sta vivere. NON “siamo pronti alla morte”.
Meno che mai oggi, in tempo di “negazione della morte” come osserva P.Ariès (1974), oggi che abbiamo allontanato la morte grazie alla medicina. Siamo, infatti, uno dei Paesi al mondo in cui l’aspettativa di vita è più lunga dopo Giappone, Corea, Svizzera, Spagna e Francia. La scienza e tecnica ci hanno consentito produzione di farmici e macchine che ci aiutano a allontanare l’avvenimento finale. In questo momento in cui non c’è il loro supporto ci troviamo a farci i conti tutti contemporaneamente, da vicino.
Molti post sui social di questi giorni a sostegno della campagna #iorestoacasa dicevano” Ai nostri nonni è stato chiesto di andare in guerra, a noi di stare sul divano”. Facile battuta e anche efficace, ben lungi dall’evocare spiacevoli idiozie (cit. Burioni) come quella del dottor Jessen secondo cui “gli italiani usano il coronavirus per fare siesta”.
“Sventurati i popoli che hanno bisogno di eroi” diceva lo scienziato in Vita di Galileo, opera di Bertold Brecht. In questi giorni stiamo comprendendo il perché, attraverso la più dura delle lezioni, ma anche la più efficace, l’esperienza diretta.
L’idea che l’aiuto alla vincita della battaglia arrivi dall’azione di personale sanitario ma anche dal non agire, ispira un salto di paradigma, che ha in se una natura assolutamente non violenta della cura da una parte e il rispetto delle regole e del prossimo dall’altra. Elementi quanto mai necessario, da tenere presente quando andremo a rimettere assieme i pezzi e andremo a ridefinire le priorità istituzionali e sociali.
Magari, per esempio, in futuro, piuttosto che per aeri da guerra come gli F35, si riterrà più naturale impiegare centinaia di milioni a sanità e servizi pubblici.

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