Caro Papa Francesco, è giunta l'ora per indignarsi della tragedia di Idlib

A Bari il patriarca siro cattolico ha messo in chiaro che Assad e Putin sono “la benemerita”, hanno salvato la Siria dai terroristi. A me sembra abbiano attivamente contribuito a rafforzarli.

Sfollati da Idlib
Sfollati da Idlib
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

22 Febbraio 2020 - 20.49


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Stimatissimo e caro Papa Francesco,

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mi permetto di tentare di rivolgermi a Lei nelle ore in cui sta per concludere a Bari l’incontro sul Mediterraneo promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana un anno dopo la firma del documento sulla fratellanza, da parte Sua e dell’imam dell’Università islamica del Cairo.

Dopo decenni in cui si è detto che i musulmani rifiutavano ontologicamente l’idea di pari cittadinanza tra loro e i loro connazionali nei paesi in cui sono maggioranza, Lei e lo sceicco al Tayyeb avete firmato un documento in cui si afferma solennemente proprio questo basilare principio. Eppure se ne è parlato poco. Non sembra strano anche a Lei? La prima stranezza però è un’altra, a mio avviso. Come mai proprio ora si è potuto centrare questo obiettivo trascurato da chi invece sogna lo scontro di civiltà?

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Io credo che sia accaduto anche perché il suo interlocutore si sia sentito accettato da Lei, si sia guardato intorno, quando è venuto a trovarla in Vaticano, come se avesse davanti un fratello, non un giudice, o un maestro. Per gli arabi musulmani il senso di sé è molto importante:  in questo c’è certamente il peso della gloria del passato, che pesa ancor di più sotto la “polvere” dell’abbandono, del degrado presente. Lei,  con il suo stile ma anche con le sue origini, con la sua natura di figlio di quel sud tanto disprezzato in certi mondi, a mio avviso ha consentito al suo interlocutore di sentirsi a suo agio, capito, come possiamo accettare solo da chi sentiamo  appartenere alla nostra stessa famiglia, e forse alla nostra storia.  Vedo questo, oltre a tante altre cose… E’ questo che ci consente di aprirci, e oltre a criticare anche di guardarci allo specchio. Ovviamente c’è anche la storia, come non pensarlo. Un cammino doloroso ha posto quel mondo, il mondo arabo, davanti a un presente così tenebroso da rendere indispensabile un sussulto. Ma senza l’aiuto della comprensione percepita, visibile, della rinuncia a una pretesa o ostentata superiorità sarebbe stato più difficile.

Ora però accade che Lei chiuda questo incontro sulle ferite sanguinanti del Mediterraneo in ore allucinanti. Siamo qui, nel Mediterraneo spezzato da armi, progetti egemonici, mire neocoloniali, progetti petroliferi, fughe disperate verso l’unica speranza che si rivela essere un burrone. E tutti questi muri e burroni ci rendono ciechi. Tanto che in queste ore che precedono il suo intervento a Bari non abbiamo saputo neanche vedere  in questo Mediterraneo, avvolti nella nostra più assoluta indifferenza, la più grave emergenza umanitaria del secolo, cominciata prima che cominciasse l’emergenza del Coronavirus: l’incredibile disastro umanitario di Idlib, in Siria. Un milione di persone sono in fuga, sfollate. Un  milione sui 3,5 milioni di sventurati che si trovano a vivere lì, la metà di loro come deportati da altre zone della Siria dove il regime del signor Assad dopo averli riconquistati non li voleva più pur non avendo loro commesso reati. Gli altri come “indigeni” che avevano sperimentare la via dell’autogestione, dei comitati.

Questi sfollati vivono in moschee, o in chiese, altri in macchina, o in case semidistrutte, abbandonate. La maggioranza di questo milione di esseri umani sono bambini. Alcuni, lo abbiamo visto perché una foto del genere fa sempre effetto, sono morti di freddo. Assiderati. Fuggono nel nulla, verso un muro. Infatti davanti a loro c’è il muro che il presidente turco, il signor Erdogan, ha fatto costruire proprio per non farli entrare in Turchia. Fuggono perché dietro di sé hanno un altro muro, questa volta di fuoco, quello con cui il loro presidente, il signor Assad, li vuol cacciare dal loro Paese. Dopo aver deportato 6 milioni di persone ne vuole deportare altri 3 milioni. Erdogan non si oppone alla pulizia etnica inseguita da Assad con il sostegno russo, ma vuole farsi trovare preparato. Deve delimitare un’area, una striscia di territorio siriano al confine con la sua Turchia, dove ammassare questa popolazione, ridotta di numero però. Sta già facendo costruire casette di 24 metri quadrati l’una. Perché ammassati tutti lì li userebbe come cuscinetto umano tra la sua Turchia e i curdi. Poi userebbero la lira turca, i telefoni turchi, il pane turco. Un affare. Ma il numero è eccessivo. Devono diminuire, e la striscia deve allargarsi rispetto a quanto i russi accettano. E così si combatte ancora.

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Ma mentre i turchi hanno già completato la muraglia turca chiudendo  la via di fuga, e armato i miliziani jihadisti che combattono con loro proprio contro quell’Assad che li ha lì radunati e trasportati per giustificare la sua usuale azione di sterminio parlando di lotta al terrorismo, i russi hanno provveduto a rendere loro chiaro che la via del ritorno sarebbe mortale bombardando gli ospedali, anche in città. Per i combattenti la vita è meno disperata: al mercato del combattente usato li comprano sia Erdogan che Putin: il primo li manda in Libia con il suo contingente militare, il secondo sempre in Libia, ma con la brigata Wagner.

Al fianco delle vittime designate ci sono in tutto due corridoi umanitari e i caschi bianchi, che combattuti come la peste da Assad tentano di salvare quante più vite sia possibile, attrezzando qualche tendopoli.

Dunque sono in trappola, ma chi parla di loro? All’Onu il veto russo ha impedito di parlarne, a Bari il patriarca siro cattolico ha messo in chiaro che Assad e Putin sono “la benemerita”, hanno salvato la Siria dai terroristi. A me sembra abbiano attivamente contribuito a rafforzarli, come altri, ovviamente, ma con più costrutto degli altri.

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Da chi tutti costoro in balia del gelo e dell’oblio possono aspettare una parola, un gesto, un riconoscimento del loro diritto a vivere con decoro a casa loro, diritto non sottoponibile ai veti di Ankara, Damasco e Mosca? In questo secolo terribile, pieno di piaghe, una piaga così non c’era ancora stata. Lo ha detto anche la signora Bachelet, delle Nazioni Unite.

Chi può evitare che questa tragedia finisca tra le storie scartate della nostra storia, allargando il fossato umano, culturale, psicologico, che separa un versante e l’altro del Mediterraneo?  Io in un testo bellissimo, Querida Amazonia, ho letto queste parole: “Bisogna indignarsi, come si indignava Mosè (cfr Es 11,8), come si indignava Gesù (cfr Mc 3,5), come Dio si indigna davanti all’ingiustizia (cfr Am 2,4-8; 5,7-12; Sal 106,40). Non è sano che ci abituiamo al male, non ci fa bene permettere che ci anestetizzino la coscienza sociale, mentre «una scia di distruzione, e perfino di morte, per tutte le nostre regioni […] mette in pericolo la vita di milioni di persone e in special modo dell’habitat dei contadini e degli indigeni”.

E’ proprio così anche ad Idlib. Hanno incendiato interi campi coltivati, hanno sradicato i contadini dalle loro terre di sempre. Non penso che leggerà questo mio appello per Idlib, ma ci provo lo stesso. E già la ringrazio. 

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