Conflitto arabo-israeliano: perché non c'è alternativa ad una pace giusta con due stati

Se proprio dobbiamo schierarci lo dobbiamo fare – come suggerisce Papa Francesco - per la fine dei combattimenti e per la tregua. Solo la pace ottenuta dal negoziato politico potrà dare sicurezza a Israele e uno stato ai palestinesi. In questa guerra

Conflitto arabo-israeliano: perché non c'è alternativa ad una pace giusta con due stati
Bombardamenti su Gaza
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28 Ottobre 2023 - 15.09


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di Antonio Salvati

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Il 7 ottobre 2023 siamo stati raggiunti dalla terrificante notizia di una nuova guerra. Un nuovo conflitto che, a differenza di tanti altri in corso, rischia di aggravare il quadro internazionale: la ripresa delle ostilità tra israeliani e palestinesi a Gaza. Una guerra, iniziata con l’assalto di Hamas, l’uccisione di oltre 1200 civili israeliani e il rapimento di circa 220 persone tra cui almeno 20 bambini, molte donne e anche anziani, che abbiamo la presunzione di conoscere. Siamo, infatti, di fronte a una delle tante sue terribili puntate, con tante vittime e nessuna soluzione. Quanti tra noi hanno una certa età, hanno partecipato a innumerevoli manifestazioni sul conflitto arabo-israeliano, manifestando simpatie per l’una o per l’altra parte. Oggi molti sono confusi senza sapere cosa pensare e soprattutto senza nutrire speranze nel futuro.

La cosa più fastidiosa – ed inutile – di fronte a questa nuova tragedia è schierarsi. Dal 1948, anno di nascita dello stato di Israele, sono seguiti 75 anni di guerra, senza nessuna soluzione adeguata a porre fine agli odi e alle contrapposizioni. A cosa serve individuare il torto o la ragione. Non ha senso, è inutile; serve solo a soddisfare la nostra smania di tifosi che si sforzano di cercare chi ha più ragione dell’altro. Tutti hanno le loro ragioni e nessuno ha ragione. 

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Se proprio dobbiamo schierarci lo dobbiamo fare – come suggerisce Papa Francesco – per la fine dei combattimenti e per la tregua. Solo la pace ottenuta dal negoziato politico potrà dare sicurezza a Israele e uno stato ai palestinesi. In questa nuova guerra hanno tutti torto. Anche la comunità internazionale e anche la nostra Europa e l’Italia. Hanno avuto torto gli israeliani quando hanno cercano di strappare di più magari con la violenza. Hanno avuto torto i palestinesi quando, mal consigliati dai loro padrini arabi, hanno negato una speranza alla pace quando sembrava assai vicina tentando di concedere sempre di meno anche loro con la forza delle armi e dell’umiliazione.

Hanno avuto torto i nostri paesi quando si sono disinteressati e hanno creduto che la questione palestinese fosse definitivamente accantonata o impossibile da risolvere. Il Medioriente oggi ha più sicurezza? Dopo le barbarie di Hamas del 7 ottobre la costituzione dello stato palestinese è più vicina? No, e la solidarietà del mondo arabo e non per la loro causa è ridotta ai minimi termini. È necessario – occorre ribadirlo – uscire dalla trappola della tifoseria e sostenere – come fa Papa Francesco – quanto la guerra sia inutile, ancor prima di essere orribile, criminale e moralmente ingiusta.

Israele ha diritto ad esistere, nella sicurezza, come decise l’ONU nel 1948. Sciaguratamente i palestinesi non accettarono quella decisione, rinunciando al loro stato che la risoluzione gli offriva. Iniziò così una lunghissima sulla quale esiste una vasta letteratura e che è difficile ripercorrere in poche battute. Serve ricostruire un clima di dialogo perché sia possibile riavvicinarsi. Anche per proteggere le comunità ebraiche europee e italiane: questa crisi rischia di ritorcersi anche contro di loro. Le decisioni del governo di Israele si possono e si devono criticare, senza identificarlo con la popolazione di Israele e soprattutto non dimenticando mai che l’Italia si macchiò di complicità coi nazisti abbandonando i propri ebrei alla follia della Shoà.

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Questa guerra tra israeliani e palestinesi è drammaticamente una guerra contro i bambini: bambini uccisi in culla nei kibbutz; bambini rapiti; bambini bombardati a Gaza. Da quelle terre salgono forti invocazioni di pace che vanno raccolte. Già ascoltare il grido di pace – ha sottolinea Andrea Riccardi – mette in movimento le persone e le coscienze, fa maturare idee, sentimenti e speranze. «Non siamo consegnati a un destino ignoto, su cui non si può esercitare nessuna influenza. Si può ascoltare, comprendere, discutere: i processi messi in moto, talvolta, travolgono le resistenze e mettono in atto movimenti che vanno ben aldilà dei singoli. C’è anche una forza della ragionevolezza della pace, risposta all’anelito di tanti: molte volte è un’energia sottovalutata». La storia non è uno spartito già scritto. La storia è piena di sorprese. E la più grande sorpresa è la pace. Il XXI secolo non può e non deve essere destinato alla guerra.

La soluzione non è mai improvvisa e meccanica. Mario Giro, esperto di relazioni internazionali, ha scritto che questo nostro tempo è abitato da “trame di guerra”, ma anche da “intrecci di pace”, per cui «la guerra non è mai ineluttabile, ma è sempre una scelta politica dei leader, che può essere invertita». il quadro della situazione mondiale è grave: abbiamo crisi degli stati (soprattutto nel continente africano), la crisi del multilateralismo, l’impossibilità di intervento in molte aree di guerra, la diminuzione degli aiuti. Per questo il multilateralismo – insiste Mario Giro – è fondamentale, dobbiamo ricrearlo, non c’è aiuto possibile senza il sistema multilaterale che la crisi politica globale sta mettendo a rischio.

Papa Bergoglio nella Fratelli tutti ci ha ricordato – e risvegliato – che la guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante. Il mondo sta trovando sempre più difficoltà nel lento cammino della pace che aveva intrapreso e che cominciava a dare alcuni frutti. Tuttavia, Riccardi sostiene che occorre lavorare per individuare una «rassegna delle risorse di pace, che esistono nel nostro mondo, almeno come io le ho viste e lo ho vissute. E non sono poche. Una vera opportunità per prendere sul serio le domande di pace. Alcune tracciano una strada per una visione più larga del futuro, libera dall’ombra pesante dei conflitti. Il dialogo come strumento per vivere insieme, l’umanesimo come cultura che sottende alla convivenza tra diversi, la cultura della pace, l’incontro tra culture e religioni, quello tra cristiani di Chiese differenti, i percorsi di solidarietà… non sono storie archiviate (anche se sono messe alla prova in questo tempo difficile), ma rappresentano un autentico patrimonio».

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