Caso Regeni: Meloni e Tajani renitenti alla verità

Meloni e Tajani vogliono la verità sul caso Regeni? Sappiamo bene che alla verità e giustizia preferiscono di gran lunga gli affari

Caso Regeni: Meloni e Tajani renitenti alla verità
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9 Marzo 2023 - 18.53


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Lo avevamo scritto con largo anticipo (verba volant etc…). E c’abbiamo preso. E non perché noi di Globalist abbiamo doti divinatorie, semplicemente perché conosciamo bene i “polli” di cui scriviamo. E sappiamo bene che alla verità e giustizia preferiscono di gran lunga gli affari. Anche se quegli affari, energetici e militari, vengono fatti con un autocrate che ha fatto di tutti in questi anni per intralciare il lavoro dei giudici del tribunale di Roma che stanno cercando, con coraggio e dedizione, di fare piena luce su esecutori e mandanti del rapimento e del brutale assassinio di Giulio Regeni, ventottenne cittadino italiano massacrato al Cairo.

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Renitenti alla verità

Lo scorso 13 febbraio il gup, accogliendo una richiesta della parte civile, decise di ammettere come testimoni nel processo per la morte di Giulio Regeni  la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ma i due rappresentanti del governo non si presenteranno in udienza. L’Avvocatura dello Stato, che pur è parte civile nel procedimento contro gli 007 egiziani accusati delle torture e dell’omicidio del ricercatore friulano, ha comunicato che non possono essere ascoltati come testimoni perché le domande e le risposte dovevano riguardare gli incontri avuti con il governo egiziano e il presidente al-Sisi in particolare nei quali, come aveva fatto sapere la stessa Meloni, ci sarebbero state rassicurazioni e promesse per superare gli ostacoli procedurali che impediscono di celebrare il processo. Ovvero la mancata notifica degli atti agli imputati che impedisce al nostro codice di procedura penale di mandare avanti il processo. Alle autorità italiane servono gli indirizzi dei quattro agenti della National security perché sia garantito il loro diritto di imputati a essere compiutamente informati e ad avere una difesa tecnica, che comunque gli è stata garantita.

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 “Il contenuto dei colloqui si inscrive nell’abito delle relazioni di politica internazionale e riguarda attività svolta nell’esercizio di uno delle più rilevanti prerogative dell’azione di governo, nella sua più specifica accezione di politica estera. Secondo la prassi internazionale costantemente applicata dagli Stati – scrive l’Avvocatura – i contenuti dei colloqui, bilaterali o plurilaterali, fra i rappresentanti di governo non possono essere divulgati se non attraverso comunicati congiunti e condivisi. La divulgazione dei medesimi contenuti senza il consenso dello stato estero interessato potrebbe incidere sulla credibilità nella comunità internazionale: il contenuto dei colloqui non è divulgabile” perché “c’è un segreto che non può essere violato”.

“Ci aspettiamo che la premier Giorgia Meloni ci convochi per offrirci quelle risposte che non vuole dare in aula riguardo al suo incontro con Al Sisi. È un passaggio necessario per arrivare alla verità sulla morte di Giulio. Ed è quello che ci stanno chiedendo moltissimi cittadini in queste settimane, mostrandoci come al solito la loro vicinanza e solidarietà – hanno dichiarato al Fatto Quotidiano Paola e Claudio Regeni con il loro avvocato Alessandra Ballerini – Gli avvocati dello Stato si sono costituiti il 14 ottobre del 2021 ufficialmente per stare nel processo a nostro fianco. E siedono fisicamente accanto a noi. Addirittura hanno chiesto un risarcimento per la perdita che lo Stato italiano ha avuto per la perdita di nostro figlio. E poi depositano a nostra insaputa una nota che, di fatto, impone al giudice di revocare la decisione di convocare Tajani e Meloni rischiando così di bloccare il processo. Chi aveva detto quindi he avrebbe combattuto al nostro fianco in realtà ci vuole impedire di avere un processo e quindi di avere giustizia. Questo ci addolora molto”.

Una minuziosa ricostruzione

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A farla è il Post: “Giulio Regeni fu sequestrato al Cairo il 25 gennaio 2016. Da allora è sempre stato molto complicato ottenere informazioni su quello che realmente accadde, sia per le autorità italiane sia per la famiglia di Regeni. Il suo corpo venne trovato una settimana dopo in una strada alla periferia della capitale egiziana, pieno di abrasioni e contusioni e con varie fratture, anche a tutte le dita delle mani e dei piedi. Aveva inoltre molti segni di bruciature di sigarette e di coltellate, anche sotto la pianta dei piedi.

Le autorità egiziane parlarono prima di un incidente stradale, poi di un omicidio avvenuto nel corso di una relazione omossessuale e infine di un regolamento di conti tra trafficanti di droga. Il 24 marzo 2016, durante una sparatoria, la polizia egiziana uccise quattro uomini che secondo la polizia stessa erano gli assassini di Regeni, appartenenti a una banda specializzata nel rapimento di stranieri. Sul luogo venne trovata anche una borsa con dentro oggetti di proprietà di Regeni.

Tuttavia in seguito fu la stessa procura del Cairo a escludere si trattasse degli assassini di Regeni: dai tabulati telefonici risultava che uno di loro fosse a 100 chilometri dal Cairo nei giorni della scomparsa di Regeni.

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Secondo la procura di Roma il depistaggio della borsa e della sparatoria fu inscenato dai servizi segreti egiziani. E sempre secondo la procura Regeni, che si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati di base egiziani per conto dell’Università di Cambridge, venne torturato e ucciso perché ritenuto una spia. A denunciarlo sarebbe stato Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti, che Regeni aveva incontrato per una ricerca. Abdallah avrebbe denunciato il ricercatore italiano alla polizia di Giza, una città a circa 20 chilometri dal Cairo, il 6 gennaio, seguendolo poi fino al 22 gennaio, tre giorni prima della scomparsa, e comunicando alla polizia tutti i movimenti del ricercatore. Senza nessuna collaborazione da parte delle autorità egiziane le indagini preliminari della procura di Roma si chiusero nel dicembre del 2020. Nel maggio del 2021 vennero rinviati a giudizio quattro ufficiali dei servizi egiziani, il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi, e il maggiore Magdi Sharif. I reati contestati sono sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio. Non è stato contestato il reato di tortura perché introdotto nel codice penale italiano solo nel 2017, dopo la morte di Regeni.

Il governo egiziano ha sempre sostenuto di non aver fornito nessuna copertura agli indagati, ma non ha mai fornito gli indirizzi dei quattro imputati, bloccando di fatto l’iter processuale.

Infatti sia la Corte d’Assise di Roma sia la Corte di Cassazione hanno stabilito che senza la notifica agli imputati il processo non può svolgersi. La comunicazione del rinvio a giudizio a un imputato è un passaggio formale ma anche sostanziale di un processo: l’imputato, per potersi difendere, deve essere a conoscenza del fatto di essere accusato. Secondo il gup però si può ragionevolmente ritenere che i quattro ufficiali siano al corrente dei procedimenti a loro carico, perché la notorietà del caso si potrebbe considerare già di per sé una notifica. La Corte d’Assise e poi la Cassazione hanno ritenuto diversamente.

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Negli anni ci sono stati anche altri tentativi di ostruzionismo da parte delle autorità egiziane, per esempio negando le rogatorie (le richieste di uno Stato a un altro di compiere atti investigativi, come per esempio un interrogatorio) del pubblico ministero e quelle del giudice, e non sono mai serviti a nulla gli interventi del governo italiano.

Il 7 novembre del 2022 al-Sisi aveva incontrato prima Giorgia Meloni a Sharm el Sheikh, in occasione della Conferenza internazionale sul clima Cop27, e poi Tajani, al Cairo. Al ritorno dall’Egitto, Tajani aveva detto: «Sia il presidente sia il ministro degli Esteri mi hanno assicurato la volontà dell’Egitto di rimuovere gli ostacoli che possono creare problemi. Non c’è stata, devo dirlo agli italiani, nessuna reticenza da parte egiziana».

E qui arriviamo al punto della testimonianza di Tajani e Meloni davanti al gup, durante la quale avrebbero dovuto dire in cosa consisterebbe in termini concreti la volontà di “rimuovere gli ostacoli” espressa dal governo egiziano. L’intervento dell’Avvocatura dello Stato però ha reso impossibile la possibilità di un chiarimento.

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La richiesta di ascoltare in aula Giorgia Meloni e Antonio Tajani in merito alle dichiarazioni di al-Sisi era stata fatta da Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio Regeni, che aveva detto: Alla luce delle dichiarazioni rese ai media dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani circa le rassicurazioni, o addirittura sono state chiamate ‘promesse’, ricevute dal presidente al- Sisi che avrebbe garantito che risolverà la situazione eliminando gli ostacoli che ci impediscono di iniziare questo processo per il sequestro le torture e l’uccisione di Giulio, abbiamo chiesto di sentire la premier Meloni e il ministro degli Esteri per avere ragguagli su tempistiche e modalità di queste soluzioni.

Il giudice aveva accolto la richiesta, ma l’Avvocatura dello Stato ha deciso che le testimonianze non possono avvenire perché «la divulgazione dei medesimi contenuti senza il consenso dello stato estero interessato potrebbe incidere sulla credibilità nella comunità internazionale». In pratica, sostiene l’Avvocatura dello Stato, il contenuto dei colloqui tra al-Sisi, Meloni e Tajani non può essere divulgato e «il segreto non può essere violato».

Il comunicato dell’Avvocatura dello Stato dice che «il contenuto dei colloqui si inscrive nell’abito delle relazioni di politica internazionale e riguarda quindi l’attività svolta nell’esercizio di una delle più rilevanti prerogative dell’azione di governo, nella sua più specifica accezione di politica estera». Perciò «i contenuti dei colloqui, bilaterali o plurilaterali, fra i rappresentanti di governo non possono essere divulgati se non attraverso comunicati congiunti e condivisi».

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La posizione dell’Avvocatura dello Stato è sorprendente anche perché la presidenza del Consiglio e la stessa Avvocatura si sono costituiti parte civile  nel processo per l’omicidio Regeni: «L’aver violato la vita, l’integrità psicofisica e delle libertà dei cittadini italiani all’estero, ha leso l’immagine e il prestigio dello Stato italiano nella sua funzione di protezione dei propri cittadini all’estero», venne comunicato nel momento in cui la presidenza del Consiglio si costituì parte civile. È stato anche chiesto un milione di euro di risarcimento al governo egiziano.

Parlando con Repubblica, i genitori di Regeni hanno detto: «Addirittura hanno chiesto un risarcimento per la perdita di nostro figlio. E poi depositano a nostra insaputa una nota che, di fatto, impone al giudice di revocare la decisione di convocare Tajani e Meloni rischiando così di bloccare il processo. Chi aveva detto quindi che avrebbe combattuto al nostro fianco in realtà ci vuole impedire di avere un processo e quindi di avere giustizia. Questo ci addolora molto».

Il processo resta quindi bloccato, nonostante le rassicurazioni del governo sulla presunta collaborazione delle autorità egiziane. In un’intervista televisiva a Diario del giorno, su Rete 4, il ministro della Difesa Guido Crosetto lo scorso gennaio ha detto: Penso ci sia la volontà dell’Egitto di cooperare al 100 per cento con l’Italia, perché c’è la necessità delle due nazioni di parlarsi […]. Si rendono conto, le autorità egiziane, che il tema Regeni è un tema importante per il governo italiano e per l’Italia, e quindi hanno tutto l’interesse e la volontà a darci risposte chiare, serie, nel tempo più veloce possibile.

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I genitori di Regeni, Paola e Claudio Regeni, hanno detto che si aspettano un incontro con Meloni fuori dalle aule di giustizia, per dare le risposte che non ha potuto dare al gup: «È un passaggio necessario per arrivare alla verità sulla morte di Giulio. Ed è quello che ci stanno chiedendo moltissimi cittadini in queste settimane, mostrandoci come al solito la loro vicinanza e solidarietà».

Ora la parola passa alla presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri. Siamo curiosi di sentire cosa s’inventeranno questa volta per continuare a essere renitenti alla giustizia. Ma statene sicuri qualcosa inventeranno. Bisogna tenersi buono al-Sisi. Con lui l’Italia fa ottimi affari, puntualmente documentati da Globalist, e poi il presidente-generale, a capo di un vero e proprio stato di polizia, serve all’Italia come Gendarme del Mediterraneo. 

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