Ucraina e Palestina: due pesi e due misure sulle sofferenze dei popoli

Bene l'estensione del sostegno popolare in Occidente per l'Ucraina e le denunce sull'invasione della Russia. Bello se lo stesso accadesse per la Palestina

Ucraina e Palestina: due pesi e due misure sulle sofferenze dei popoli
Ucraina e Palestina
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Marzo 2022 - 17.53


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C’è una foto-immagine che sintetizza, meglio di tante parole, una doppia tragedia. Globalist la racconta così: c’è un muro nero su cui un ragazzo scrive con la vernice bianca: “Support Ukraine. 12 days ago”. In basso, c’è un bambino che gli tira una manica e gli indica ciò che lui aveva scritto: “Also Palestine. 74 years ago”.

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Due pesi e due misure

A commentare quell’immagine, in un bel articolo su Haaretz, è il professor Dov Waxman, ordinario alla Fondazione Rosalinde e Arthur Gilbert in Studi su Israele e direttore del Centro Y&S Nazarian per gli Studi su Israele all’Università della California, Los Angeles (UCLA).

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Scrive il professor Waxman: “L’estensione del sostegno popolare in Occidente per l’Ucraina e le denunce quasi unanimi della comunità internazionale sull’invasione della Russia, insieme ad una valanga di sanzioni e boicottaggi imposti alla Russia, sono stati accolti con una risposta strana, se non cinica, da molti palestinesi e dai loro sostenitori. Si lamentano di quello che vedono come un evidente doppio standard nella risposta determinata e forte dell’Occidente alla Russia, rispetto alla risposta, o mancanza di essa, all’occupazione israeliana dei territori palestinesi.

Infatti, in un sondaggio condotto la scorsa settimana in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, la maggioranza dei palestinesi (57%) crede che gli Stati Uniti e i loro alleati europei siano colpevoli di un doppio standard nel modo in cui hanno risposto alla guerra in Ucraina e all’occupazione israeliana. Alcuni commentatori sostengono che la differenza in queste risposte si riduce semplicemente al razzismo: gli ucraini suscitano la simpatia dell’Occidente, i palestinesi no. Nelle parole di Yousef Munayyer, un ricercatore non residente presso l’Arab Center di Washington, D.C., “Sembra che la ragione principale per cui gli occidentali sono stati veloci a saltare per difendere i diritti umani degli ucraini mentre hanno ignorato i diritti umani dei palestinesi e di tanti altri è che vedono alcuni di noi come meno umani di altri”. 

Munayyer e altri fanno notare che mentre l’Occidente ha rapidamente abbracciato l’uso del boicottaggio, del disinvestimento e delle sanzioni contro la Russia, c’è molto meno sostegno per il movimento BDS contro Israele, e ci sono persino sforzi per vietarlo o penalizzare i suoi sostenitori.

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“Vediamo che non solo il governo degli Stati Uniti ma anche le aziende statunitensi stanno cadendo su se stesse per sanzionare e boicottare tutto ciò che ha un’associazione con il governo russo”, ha dichiarato recentemente Sarah Leah Whitson, l’ex direttore della divisione Medio Oriente di Human Rights Watch.

“Contrasta questo con l’esatto contrario quando si tratta di sanzionare Israele per le sue violazioni del diritto internazionale al punto che gli stati americani stanno approvando leggi per punire gli americani a meno che non promettano di non boicottare mai Israele. E’ molto chiaro”, sostiene, “che il motivo per resistere alle sanzioni su Israele, o anche al rispetto del diritto internazionale, è puramente politico.

I critici hanno anche contrapposto l’effusione di simpatia per la resistenza degli ucraini contro gli invasori russi – “la celebrazione della resistenza quando è bianca, bionda e con gli occhi azzurri”, come ha detto un commentatore palestinese – alla mancanza di supporto per la resistenza palestinese contro l’occupazione militare israeliana. 

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“Combattiamo i nostri oppressori e veniamo marchiati come terroristi”, scrive Mohammed Rafik Mhawesh, un giornalista palestinese di Gaza. “Gli ucraini fanno lo stesso e vengono applauditi per il loro coraggio”. Inoltre, secondo Munayyer, “In Ucraina, l’Occidente sostiene attivamente la resistenza armata sia spedendo armi che glorificando il loro uso. In Palestina, anche l’Occidente sta inviando armi ad un governo israeliano che pratica l’apartheid”. 

La frustrazione e l’insulto che molti palestinesi potrebbero provare nel vedere l’opposizione unificata dell’Occidente alla Russia paragonata al suo continuo sostegno a Israele è comprensibile. Ma l’affermazione che dimostrano un doppio standard si basa su una facile analogia e una falsa equivalenza. Mentre ci sono alcune somiglianze superficiali, ci sono differenze significative tra la guerra in Ucraina e l’occupazione dei territori palestinesi.

In primo luogo, la guerra in Ucraina è il risultato di un atto non provocato di aggressione da parte di uno stato (la Russia) contro il suo vicino (l’Ucraina), che non rappresentava una vera minaccia per la Russia. Israele, al contrario, ha conquistato la Cisgiordania e la Striscia di Gaza nel corso di una guerra combattuta contro tre stati arabi vicini che rappresentavano una seria minaccia per Israele. La guerra del 1967 non fu semplicemente una guerra di aggressione come lo è l’invasione russa dell’Ucraina. 

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Questo non giustifica necessariamente l’occupazione militare decennale di Israele dei territori palestinesi (come alcuni sostengono), ma la differenzia, almeno legalmente, dal tentativo della Russia di occupare militarmente l’Ucraina e di rovesciare il suo governo democraticamente eletto, che è guidato dal revanscismo russo e dalla paranoia di Putin, qualsiasi cosa la propaganda russa possa affermare.   

In secondo luogo, l’invasione della Russia in Ucraina – uno stato indipendente, la cui sovranità è universalmente riconosciuta dalla comunità internazionale – è una chiara violazione delle norme internazionali più basilari e un chiaro pericolo per l’ordine internazionale basato sulle regole.

Mentre la legalità dell’occupazione militare israeliana della Cisgiordania è certamente discutibile (per non dire altro) – le occupazioni sono permesse solo se sono militarmente necessarie e temporanee – non viola il principio cardinale della sovranità statale né minaccia di sconvolgere l’ordine internazionale. La posta in gioco è semplicemente molto più grande nel caso dell’Ucraina. 

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Le violazioni delle leggi e delle norme internazionali non hanno tutte lo stesso significato, né sono trattate allo stesso modo, indipendentemente da chi le viola. Quando una grande potenza come la Russia attacca un altro stato sovrano e ne minaccia altri nelle sue vicinanze, ha conseguenze geopolitiche destabilizzanti che sono profonde e di vasta portata. Non è così quando si tratta delle azioni di Israele nei confronti dei palestinesi, che non hanno più grandi ripercussioni regionali, figuriamoci globali.

Terzo, boicottare, disinvestire e sanzionare la Russia ha lo scopo di fare pressione su Putin e i suoi alleati per fermare questa guerra di aggressione, non per cambiare il regime in Russia o la natura dello stato russo. Il movimento BDS, al contrario, non vuole solo fare pressione su Israele per porre fine alla sua occupazione della Cisgiordania e al suo blocco di Gaza. Cerca di cambiare la natura stessa dello stato israeliano.

Che questo sia un obiettivo degno o meno, il BDS ha ambizioni molto più grandi nei confronti di Israele di quanto il regime di sanzioni emergente abbia nei confronti della Russia. In altre parole, non sono le tattiche del movimento BDS che la gente, e i governi, criticano, ma gli obiettivi del movimento, specialmente il suo rifiuto della continua esistenza di Israele come stato ebraico (un rifiuto che alcuni vedono come antisemita).

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Infine, la resistenza armata ucraina è diretta esclusivamente contro l’esercito russo. I civili russi non sono stati presi di mira. Infatti, gli ucraini hanno sottolineato che il loro nemico è Putin, non il pubblico russo. La resistenza armata palestinese, al contrario, non è stata diretta solo contro i militari israeliani, ma anche contro i civili israeliani.

Nel corso degli anni, ci sono stati decine di attacchi terroristici condotti dai palestinesi contro gli israeliani e lanci indiscriminati di razzi da parte di gruppi militanti palestinesi diretti verso i centri abitati israeliani. L’uso del terrorismo ha senza dubbio minato la simpatia internazionale per la resistenza palestinese all’occupazione israeliana.

Niente di tutto questo è per dire che i palestinesi non meritano simpatia o sostegno, o che l’Occidente non è mai colpevole di due pesi e due misure. C’è sicuramente un po’ di ipocrisia quando si tratta di applicare il diritto internazionale e probabilmente un po’ di razzismo che modella il modo in cui alcune persone, compresi i politici, percepiscono i palestinesi rispetto agli ucraini. Ma ci sono molti altri fattori in gioco nel plasmare le diverse risposte della comunità internazionale, e dell’Occidente in particolare, all’invasione russa dell’Ucraina e all’occupazione in corso dei territori palestinesi da parte di Israele. 

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Basta chiedere ai palestinesi in Cisgiordania e Gaza: nello stesso recente sondaggio, una grande maggioranza (71%) vuole effettivamente che l’Autorità Palestinese rimanga neutrale nella guerra, e solo il 10% pensa che dovrebbe stare con l’Ucraina.

Questo indica che anche loro non vedono un’equazione assoluta tra il conflitto russo-ucraino e quello israelo-palestinese, o che la posizione di uno dovrebbe determinare la posizione dell’altro. I palestinesi hanno il diritto di deplorare la complicità occidentale con l’occupazione israeliana della loro terra, ma non c’è una vera analogia tra Ucraina e Palestina”, conclude il professor Waxman.

Le ragioni di un silenzio

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Resta il dolore di chi si sente dimenticato. Di chi non ha mai visto l’occupante sanzionato, nonostante le tante risoluzioni Onu calpestate, nonostante lo sfregio del diritto internazionale e di quello umanitario, nonostante centinaia di rapporti delle più autorevoli agenzie delle Nazioni Unite e di ong internazionali, che hanno documentato punizioni collettive inflitte dall’occupante alla popolazione dei territori occupati, punizioni che confliggono anche con la Convenzione di Ginevra sulla guerra. Quel “chi” è il popolo palestinese. 

La cosa politicamente sbagliata, moralmente oscena, eticamente insopportabile, è fare una gerarchia degli oppressi. Come se vi fossero quelli di Seria A, di Serie B o di Serie Z. Eppure non si sfugge alla sensazione, amara, che, sia pure inconsciamente, forse, una siffatta gerarchia viene fatta. Viene fatta con le guerre volutamente “ignorate”. Viene fatta nei confronti dell’unico popolo al mondo, oggi, che sia sotto occupazione. Questa gerarchia del disonore vive nella discriminazione operata in Europa tra rifugiati (ucraini) che vanno accolti, e quelli (africani, siriani, afghani etc..) che vanno invece respinti. Simbolo di questa ambiguità è la Polonia. 

Sia chiaro: lungi da chi scrive contestare la politica delle sanzioni adottata dall’Europa e dagli Stati Uniti nei confronti della Russia, Paese aggressore. E’ stata una scelta giusta. Come sarebbe stata giusta l’adozione di una qualche sanzione nei confronti di un Paese che da decenni colonizza Territori occupati (riconosciuti come tali da risoluzioni Onu) e soppone di fatto la popolazione autoctona a un regime di apartheid. Si spiega così quel 71% di palestinesi che vuole l’Anp neutrale. Spiegare non vuol dire giustificare, ma cogliere cosa vi sia nel profondo di certi indirizzi. E in quel 71% c’è rabbia, dolore, convinzione di essere stati abbandonati dalla Comunità internazionale, da quell’Europa, da quell’America che non hanno alzato un dito (se non dichiarazioni di circostanza) contro l’unilateralismo militarista israeliano. Quel 71% è il portato di una politica oscena perseguita dall’Occidente nella regione mediorientale. Fare lezione di morale ai palestinesi che non si schierano con gli ucraini invasi, non è solo ingiusto, è spregevole. Mentre in Ucraina si combatte, nella Striscia di Gaza due milioni di civili palestinesi (il 57% sotto i 18 anni) continuano a vivere, se di vita si può parlare, in una enorme prigione a cielo aperto isolata dal mondo. Soffrono e muoiono nel silenzio dei media internazionali e nell’inazione dei Grandi della Terra. Soffocati da quasi quindici anni (giugno 2007) di embargo imposto da Israele. Non si tratta di fare il conto delle vittime e raffrontarli. Sarebbe ripugnante. Ma lo è altrettanto considerare un bimbo palestinese di Gaza meno importante di un bimbo ucraino. E lo stesso vale per un bimbo yemenita o afghano o siriano. Ma per loro non ci sono vertici straordinari, maratone televisive, direttori in divisa che reclamano un deciso intervento internazionale. Semplicemente, non contano. Non esistono. 

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Vi sono morti che pesano come una piuma e morti che pesano come una montagna, diceva il presidente Mao Tse-tung. I morti palestinesi, come quelli yemeniti,  non hanno peso. 

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